Appunti Americani – On the road verso il sole

28 March 2012

15 marzo
Ci svegliamo in una San Francisco piovosa. Le previsioni meteo (che sono sempre prese pari pari dalla Bibbia) dicono che pioverà per sempre. Diciamo basta alla pioggia e al girare con la mantellina impermeabile da turista. Mi sento troppo come quelle turiste che vedo a Capri nei giorni di pioggia e che mi fanno venire il freddo addosso a me per loro. Decidiamo di anticipare il noleggio della macchina, di mettere in moto e di fermarci fin quando non esce il sole. D’altra parte stiamo in California, mica in Scozia dove ti rassegni a stare sotto all’acqua.

Così 4 di noi con 4 patenti ci dirigemmo in direzione autonoleggio. ll team patentati è così composto:1 isolano che l’ultima volta che ha guidato l’ha fatto in California durante il suo viaggio di nozze. Vent’anni fa. 1 isolano che l’ultima volta che ha guidato è stato sull’Isola di Elba. 4 anni fa. Una io. Che guido una volta al mese una specie di macchinetta 800 di cilindrata e nessuno vuole mai venire in macchina con me non capisco perché. Un torrese che guida una volta all’anno.
Decidiamo che il torrese, per il fatto di avere sangue torrese nelle vene, è il Guidatore Designato (da cui in poi G.D.) Anche perché è astemio.  In 5 con 4 trolley grandi come bambini di 5 anni dobbiamo a forza prendere un SUV. L’omino dell’autonoleggio ci canta le lodi dell’ultimo megasuv Toyota, ci convince e poi ci conduce al terrazzo al 9 piano dove la tengono parcheggiata.

“Sorry, but noi abbiamo chiesto to rent a car, not a camion!” – “Ah ah, don’t worry, it’s very easy to drive”.

Lo sportello della macchina mi arriva all’altezza degli occhi. Per salire esce una specie di scaletta da sotto lo sportello. Nel bagagliaio ci vanno tutti i cinesi uccisi da Uma Thurman in Kill Bill. Nei portabicchieri c’entra la bottiglia di Coca-Cola da 2 litri. La quantità di pulsanti presenti sul cruscotto fa pensare che esista anche il pulsante di espulsione del guidatore.
“E ora chi lo guida questo mostro?” – Ci facciamo spiegare come funziona la leva del cambio automatico dall’uomo del parcheggio e proviamo a mettere in moto. Paura. Ci facciamo i giretti di scuola guida sul terrazzo mentre l’omino del auotnoleggio ci guarda con gli occhi da fuori e da sopra la testa gli esce la nuvoletta “chist stann proprio inguiati, mo’ non gliela faccio più prendere la macchina”. Poi però, ci facciamo (si fa coraggio il G.D.) e ci mettiamo in mezzo alla via.

Direzione sole della California. Sud Ovest. Andiamo dove stanno le Sequoie Giganti.  Passiamo la città, passiamo il ponte, il navigatore “miglior compagno di viaggio di questo viaggio” ci fa immettere sulla freeway. Ecco i camion dell’America. Lucidi e puliti che ti viene sempre voglia di fargli una foto.

[Nel riguardare le foto mi accorgererò che il 30% è composto da camion che corrono al tramonto, il 20% da tralicci della luce, il 40% da strade perdute fotografate da dietro il vetro dell’auto e il restante si divide equamente tra albe e foto di me in posa finto spontanea]

Cercando un posto dove fare benzina e mangiare prendiamo un’uscita a caso. Baracche. Giardini polverosi. Sole a picco su un’altalena abbandonata. Ecco l’America. Una bandiera sbiadita alla pompa di benzina tenta inutilmente di afferrare un soffio di vento. Non ci riesce e torna ad afflosciarsi su se stessa mentre il ragazzo della benzina gracchia bestemmie americane dall’autoparlante perché io non capire che devo premere una leva per far uscire la benzina. Esce mugugnando col berretto di traverso e sbuffando mi tira la leva. Andiamo a vedere se troviamo un dinner.  Seduta su una panchina, a quella che sembra essere una fermata di un pullman che non passerà mai, c’era una ragazzina nera americana che peserà 200 chili. Sono sicura di averla vista nell’ultima edizione di Adolescenti XXL. Ci scambiamo uno sguardo da dietro il finestrino. Me la immagino mentre frigge toast con sua mamma. Chissà lei cosa ha immaginato di me. Non saprò mai niente di lei.

Andiamo avanti e ci fermiamo in una specie di grande parcheggio. Da un lato c’è Mac Donald, dall’altro Burger King e dall’altro Jack in The Box. Andiamo da Jack in the Box che non lo conosciamo.Jack in the Box è come Mac Donald e Burger King solo che ha pure le calorie sui tabelloni del menù. Prendo un burrito da 800 calorie e un Soda Drink (vedi nota). I ragazzi che ci lavorano sono chiaramente tutti concorrenti di Adolescenti XXL.

Nota sulle bevande americane
I bicchieri delle bevande americane sono enormi e te lo riempi quante volte vuoi. Ma voi ve lo siete visti tutti Super Size Me e lo sapete già.
Quello che forse non sapete è che le bevande americane hanno altri colori. Prendiamo la Fanta. Da noi la Fanta ha un colore arancione pallido, che imita l’aranciata naturale. Qui la Fanta ha il colore dei giubbotti dell’Anas. Le bevande disponibili di norma nei fast food e nei dinner americani sono: Coca Cola, Sprite, Fanta all’arancia, Fanta alla Fragola, Fanta all’Uva, Doctor Pepper (che è una cocacola al restrugusto di latte di mandorla), una specie di birra analcolica che sa di liquerizia ma non mi ricordo come si chiama.  In tutti questi posti la birra e gli alcolici tutti non si servono. Questa categoria di bevande si chiama Soda Pop.


Fu così che fuori a questo fast food, mentre i camion sfrecciavano sulla freeway verso chissà dove, io mi sono sentita per la prima volta in America.

E poi via, verso le Sequoie. La freeway ad un certo punto finisce e comincia una strada costeggia da quelli che sembrano alberi di arance. Ma sono alberi strani, folti, con i rami che arrivano fino a terra. Come se fossero grossi cespugli. Alberi e alberi, casette, un Woman Country Club, un ingresso a un ranch che chissà quanto sarà lontano.

La strada ad un certo punto comincia ad inerpicarsi sulle montagne fin quando una ranger vestita da ranger proprio come un ranger di Walker Texas Ranger ci mette un adesivo sul vetro per l’ingresso al parco. Curve e curve fin quando ad un certo punto, al lato della strada, vediamo degli accumuli bianchi. E’ neve? Sì, sì, è proprio neve. Siamo in California e troviamo la neve. Più saliamo e più la neve aumenta. Ci fermiamo su uno spiazzale e qua viene fuori l’istinto di ogni giovane del Sud alla vista della neve. 1) Oh di stupore 2) Pronunciare in modo entusiasta la parola “La Neve!” 3) Prendersi a palle di neve.

Ad un certo punto sentiamo una specie di muggito dietro di noi. Ci giriamo. E’ un’alce. Cioè, pensiamo noi che sia un’alce, somiglia a quelle dei film. Ci ricordiamo che sulla guida c’è scritto che nei parchi si incontrano gli orsi. E che se incontri un orso devi fingerti morto. Noi stiamo in maniche corte e felpetta in mezzo alla neve. Non è bello fare il morto in mezzo alla neve con la felpetta. Non è bello manco incontrare un orso soprattutto se poi ti sgomma a sangue e a Wild Oltrenatura poi fanno la simulazione della scena con Fiammetta Cicogna che fa la tua parte. Torniamo in macchina, un orso non potrà mai fare niente contro il nostro supermacchinone.

Saliamo ancora e dalla nebbia ecco che emergono le sequoie. Alte, altissime che galleggiano nella nebbia prima del crepuscolo, la neve sulle radici, nell’aria odore di montagna. Sembra Twilight. In giro non c’è nessuno così possiamo scavalcare la staccionata e appoggiare la mano sul tronco di 2mila anni e pensare che sta sulla terrà da quando c’era Gesú.
Ma già si sta facendo buio, dobbiamo scendere. Nel cielo della notte ecco la luna allineata con Giove e con Venere che ci segue dal finestrino della macchina.
[Il problema  di quando qualcuno ti insegna a riconoscere le stelle e i pianeti dell’emisfero boreale è che non te lo puoi mai scordare. E io non ho voglia di emigrare nell’emisfero australe].

Ci fermiamo di nuovo a fare benzina, l’ingresso del negozio ha le inferriate e dentro c’è un vecchio che si ricorda la guerra di secessione. Sul banco ci sono le bustine di carne secca in vendita dentro buste che sembrano buste di caramelle. Giove continua a brillare nel cielo d’inverno e l’America mi colpisce al cuore. Bang bang.

Ora ci tocca cercare il motel per la notte. Esploriamo i confini della highway. Eccolo, 75 dollari, con prima colazione e sauna. Ok, va bene. Parcheggiamo accanto ai camion e cominciamo a prender confidenza con la moquette dei motel americani che sarà fedele compagna.

Nota sul design dei motel americani
La caratteristica fondamentale dei Motel Americani è avere la moquette a terra. Senza moquette a terra non è un vero motel. In ogni Stanza di Motel American si trovano uno o due letti queen size con copriletto a fiori in una fantasia che potremmo definire tipo “Rose di Morticia Adams ad autunno inoltrato”. I copriletti sono sempre uguali alla tenda. In genere poi c’è un forno a microonde e un bollitore del caffè che ti conviene sempre sciacquare con abbondante acqua bollente. La prima cosa che pensi quando entri in un Motel Americano è alla telecamere di CSI che rivela le tracce di residui organici. La seconda cosa che pensi quando entri in un Motel Americano è a bello e buono ti puoi trovare faccia a faccia con il tipo col parrucchino di “Non è un paese per Vecchi”.

Sono le nove e un quarto della sera quando prendiamo possesso delle nostre stanze nel Motel Americano. Abbiamo un po’ famina, ma siamo troppo stanchi per rimetterci in macchina e cercare un ristorante. Chiamiamo Domino’s Pizza per ordinare una pizza Hawaii con l’anas sopra. Ma nelle provincia americana alle 9 e 15 di sera è troppo tardi per farsi consegnare una pizza. Ceniamo con il gelato a Biscotto Oreo preso dal bar del Motel.

La mattina dopo ci svegliamo alle 5 e mezza e andiamo a cercare la sauna. Apro la porta e nel corridoio di Shinning c’è una tipa con le zeppe argentate e il vestito di pailette sdraiata a terra e un negrone che la sorveglia a vista.
“Good Morning” – “Good Morning”.

(continua…)

Cap. 1 San Francisco

 

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