Appunti americani – San Francisco

27 March 2012

In America lo sai che i coccodrilli vengon fuori dalla doccia?
E che le informazioni meteo sono prese pari pari dalla Bibbia?
(non dirmi che non ci sei stata mai, che non vorresti esserci nata mai, che preferisci rimanere qui, nella provincia denuclearizzata, a sei chilometri di curve dalla vita)

Novembre
Il fatto dell’America andò così. Era un pomeriggio piovoso di novembre, molto piovoso, e noi in ufficio (lo so che le Vere Web Agency Fighette lo chiamano studio, ma noi lo chiamiamo ufficio perché siamo una Vera Web Agency Figa di Provincia) ci stavamo a fare i conti per andare a uno dei soliti convegni. Sapete, quei convegni dove poi va sempre a finire che io mi metto a sfottere la gente su twitter e che non vediamo l’ora che finiscano per andare a mangiare linguine all’astice nel miglior ristorante nel raggio di venti chilometri. Metti il treno, metti l’hotel, metti il ristorante, affinale veniva un sacco di soldi. Allora io dico “Uah, ma con questi stessi soldi ci compriamo un biglietto per San Francisco e andiamo a vedere cosa si dice in Silicon Valley!” – “Uah, in America, l’astice costa pure di meno, si può fare”.

12 marzo
Sbarchiamo in una San Francisco piovosa cinque di noi. Piove che pare Seattle in una qualsiasi puntata di Grey’s Anatomy. Il primo incontro con l’America è il gabinetto con l’acqua alta dentro.

Nota sull’UX dei gabinetti americani
I gabinetti americani hanno sempre la tavoletta preformattata a misura di maschio, tagliata sul bordo, così si riducono le possibilità di trovarla sporca di pipì. L’idea mi sembra usabile. La cosa che non trovo usabile è la storia dell’acqua alta dentro che quando fai cacca va sempre a finire che ti arriva lo schizzo di rimbalzo sul sedere e la cosa non è molto gradevole, vista anche la mancanza di un bidet nelle vicinanze. I gabinetti americani non hanno mai lo scopettino. I gabinetti americani più eleganti hanno lo sturalavandino. Nella mia vita non mi è mai capitato di otturare il gabinetto per troppa cacca, ma forse agli americani succede. Quello che mi è piaciuto dei gabinetti pubblici americani è che sono davvero tanti e numerosi. Ma con tutto quelo che si bevono ne avranno sicuro bisogno.

Il secondo incontro con l’America è la fila per il controllo passaporti. Durante la fila per il controllo passaporti vengono mostrati a loop continuo dei simpatici video dove dei simpatici extracomunitari felicemente integrati con la comunità americana danno il benvenuto ai nuovi arrivati dicendogli welcome in tutte le Lingue da Immigrati del Mondo. Nei video ogni 4 fotogrammi c’è una bandiera americana. Noterò che anche fuori, per la strada, c’è una bandiera americana ogni 4 fotogrammi. E non perché sta il mondiale di calcio.
La prima cosa che subito capisci quando arrivi in America è che gli americani sono molto orgogliosi di questo fatto di essere americani.
Usciamo fuori e prendiamo lo shuttle per il nostro Hotel Fighetto prenotato su Tablet Hotel, solo hotel selezionati. Perché siamo gente che sa campare. L’hotel è ad ambientazione manga, con tutte la pareti decorate con murales jappici, i pupazzieli, l’ipod doc station sul comodino e tutte queste cose che tanto piacciono a noi Giovani Trendy di Provincia che a fine viaggio sceglieranno solo motel ai lati della highway a 40 dollari a notte.

La cosa che impareremo di tutte le stanze di tutti gli hotel americani è che sono enormi. La stanza con due letti prevede sempre due letti matrimoniali e il bagno è più delle volte composta da antibagno con lavandino e specchio e bagno con gabinetto e doccia. E questo fatto, per due ragazze in camera, è davvero usabile.

Nota sull’UX dell docce americane
L’unica cosa che in America non rispetta il senso delle proporzione sovradimensionate sono gli asciugamani. Mai che ne abbiamo trovato uno di grandezza decente per asciugarsi dopo la doccia. E poi tra le dotazioni in camera non ho mai trovato un bagnoschiuma gel, sempre orride saponette scivolose. Però c’era sempre la crema per il corpo e lo shampoo nelle bottigline carine. La cosa davvero usabile delle docce americane è che hanno tutte il miscellatore e non come quegli snob degli inglesi che hanno sempre i due rubinetti.

La prima sera in America rispetta sempre i copioni della prima sera in un posto straniero.
Ritronati da 12 ore+2 di volo e 8 ore di jet lag vaghiamo per le vie intorno all’albergo e ci chiediamo “E questa è l’America? Dove sono i locali aperti 24 ore su 24?”. La prima cosa che impariamo dell’America è che i lunedì sera piovosi sono lunedì sera piovosi anche in America è che dopo le nove di sera cenare è sempre un problema. (d’altra parte se a Dawson’s Creek si davano appuntamento per studiare dopo cena, avrei dovuto capirlo che non è che si vedevano alle dieci di sera).

13 marzo
Ci diamo appuntamento per il giorno dopo alle nove di mattina. Ci ritroveremo alle cinque e mezzo a telefonarci da stanza a stanza sorpresi dal jet-lag. Alle sette e mezzo io sono già con uova e bacon davanti. La regola delle 2 uova a settimana è una di quelle regole che in America non avranno mai sentito. Nel mio piatto ne avranno sbattute almeno 3. Qui incontrerò per la prima volta una cosa che avevo visto solo nei documentari sui chiattoni di Discovery Real Time. Il toast fritto nel burro.

Fuori piove, ma noi che teniamo da vedere? Siamo in vacanza, siamo in America, andiamocene al Moma che è coperto.

Al Museo d’Arte Moderna di San Francisco le audio guide sono degli ipod touch. Loro ti danno questo ipod con le cuffiete con sopra un app che tu digiti il numeretto dell’opera e quello ti carica il video di youtube con tutta la spiegazione.
Ora, se io fossi una vera travel blogger, vi racconterei che conviene farsi il city pass per l’ingresso ai musei, come funziona, dove farlo, ma queste cose ve le andate a leggere su Trip Advisor. Ora, se io fossi una Blogger Come si Deve, invece di starvi a raccontare dei cessi americani, vi direi di quanto mi sia incantata con Warhol e tutta quella altra gente che dovrei andare a controllare su Google come si scrive, ma invece sono una blogger debosciata, quindi andiamo avanti.


Usciamo dal Moma che ancora piove. Ma stiamo in vacanza, siamo in America, andiamocene a mangiare. Andiamocene al porto a mangiare il granchio. (che se tipo non sapevamo che a San Francisco si mangiava bene, col cacchio che venivamo a ripercorrere le orme di Steve Jobs).

Per andare verso il porto prendiamo un tram. La cosa figa di San Francisco è che loro hanno preso tutti i tram scassati dalle varie città del mondo, li hanno ristrutturati e rimessi in circolazione. Così, per dare un tocco vintage alla città. Noi prendiamo un vecchio tram di Milano e tutti contenti ci mettiamo a scattare foto alle targhette “Vietato Sputare”.

Sbarchiamo sul molo tra orde di turisti in impermeabile di plastica che vagano tra negozi di souvenir. Siamo al Pier 39, un molo che dovrebbe essere la passeggiata turistica. Nell’aria odore di ostriche e zucchero filato. A me pare di stare a l’Edenlandia. Ha tutto un’aria plasticosa e finta, anche i leoni marini sugli scogli. Andiamo avanti fino al Fisherman Wharf e scegliamo il ristorante che ci sembra più chichettoso e adatto ai nostri gusti raffinati. Io e la collega subito facciamo quello che abbiamo sempre sognato di fare. Ordinare un Martini sfogliando il menù e andare avanti a Martini per tutto il pasto.

Il cocktail da ordinare prima del pranzo è la tradizione culinaria che ho maggiormente apprezzato di tutta l’America.

Ora, se io fossi una food blogger, vi direi il nome del ristorante e pure come cucinavano il granchio, ma non me lo ricordo. Mi ricordo solo che ad un certo punto mi hanno messo un bavaglino e io ho passato la successiva ora e spolparmi un granchio intero intero e a berci il Martini sopra.

Non ho ricordi di cosa è successo poi dopo. Quello che è sicuro è che non ha smesso di piovere.

(Ma tanto, siamo in America, siamo in vacanza, oh, ma a questo San Francisco non asciutta acqua da terra eh?)
14 marzo
Ore 5.30 pm. Apriamo gli occhi nel buio. E fuori piove. Accendiamo le previsioni meteo (che sono prese pari pari dalla Bibbia). Piove (forse siamo capitati nel mezzo della Genesi, quando arriva il Diluvio Universale).
Ma tanto siamo in America, siamo in vacanza, e che caz.. però.

Però con questa atmosfera si potrebbe andare ad Alcatraz e sentirsi come il grande Cliff in fuga da Alcatraz. Andiamo ad Alcatraz. La fila per andare ad Alcatraz è formata da turisti europei in mantellina impermeabili e turisti americani in felpa e capelli bagnati. Tanti bambini sotto all’acqua. Sul vaporetto per Alcatraz tutti si mettono fuori a fare le foto sotto all’acqua. Noi pensiamo “Chist so’ sciem”, come pensiamo sempre dei turisti che quando piove si mettono fuori all’aliscafo a fare le foto sotto all’acqua e ci sediamo dentro a fare video dementi che a rivederli faranno ridere solo a noi.

Sbarcati ad Alcatraz la prima cosa che ci dicono è che non si può fumare. Cioè, non è che non si può fumare dentro alla prigione. Non si può fumare fuori, all’aperto. E vabbuò. Dopodichè ci consegnano le cuffiette con l’audioguida. Questa audio guida è un notevole esempio di storytelling. Si tratta di una narrazione a più voci di ex detenuti ed ex sbirri con tanto di effetti sonori che ti dovrebbero far immedesimare nella vita ad Alcatraz mentre cammini sul lato destro e guardando in alto a sinistra come ti ordinano di fare nelle cuffie in mezzo ad altro sacco di sciemi con le cuffie.  Il sistema però è fatto bene: ogni lingua segue un ordine diverso di visita, in modo che non si formi un unico blocco compatto di sciemi che camminano sul lato destro guardando in alto a sinistra come ti ordinano di fare nelle cuffie.

Negozio di souvenir dove ti puoi comprare il pigiamino a righe il Vero Cucchiaio dei Veri Detenuti di Alcatraz.
(Forse qui mi potrei comprare la tazza di metallo per essere una ragazza integrata nel gruppo trekking dove hanno tutti la tazza di metallo e io no – Però il pigiamino è bellino – Non mi compro niente).

Torniamo sulla terraferma e continua a piovere. Vabbuò, stiamo in America, stiamo in vacanza, facciamoci un giro sulla cablecar. La cablacar è una specie di funicolare (cioè è proprio una funicolare) che ti porta in giro per le vie di San Francisco che, come insegnano tutti i film che vi siete visti, sono a salite e discese. La cosa bella della cablecar è che i puoi anche appendere fuori, come si vede nei film. Però piove e solo gli inglesi si possono appendere là fuori.

Torniamo in hotel e facciamo un brief davanti alle previsioni meteo. Cartina dei movimenti dell’alta e della bassa pressione, dov’è che sta il sole?

Anticipiamo il noleggio della macchina di due giorni e fuggiamo da una San Francisco piovosa.

[Comunque, sarà stata la pioggia, sarà stato che a me le città affinale mi sembrano sempre tutte tale e quali, sarà stato che erano i primi giorni, ma a me questa San Francisco (per ora) non mi ha detto proprio niente]
Continua…

Cap 2 – On the Road verso il sole

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