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Fès, la città dei mille gatti e delle trecento moschee

21 August 2013

Fez, o anzi, Fès, è la più antica e sacra delle città imperiali del Marocco. Tra i suoi vicoli tortuosi si contano più di 300 moschee, da ognuna delle quali, per 5 volte al giorno, si leva il richiamo alla preghiera creando un coro polifonico che riecheggia per tutta la valle.

Noi arriviamo a Fès un giorno particolare, è la festa per la fine del Ramadan e tutti i negozi sono chiusi, un po’ come se fosse il nostro giorno di Natale.Per strada vediamo tante famiglie vestite con abiti tradizionali e babbucce gialle che si recano in visita dai parenti per passare con loro il giorno di festa. Quasi tutte le botteghe sono chiuse e le strade della Medina, che dovrebbero essere traboccanti di colori e odori, hanno una strana atmosfera spettrale.

La mia prima impressione è che la città sia dei gatti. Tantissimi gatti, pieni di cuccioli attorcigliati agli angoli delle strade e tutti magrissimi. Mi diranno poi che i gatti proliferano perché sono diventati vegetariani e riescono a vivere mangiano gli scarti delle verdure lasciate a terra dopo il mercato. Certo che hanno la fame negli occhi e nelle osse che sporgono.

Anche gli abitanti di Fez sembra che abbiano fame, fame e una certa subdola arroganza con la quale cercano di spillare soldi e mance allo sprovveduto turista. Nel labirintico dedalo di vicoli della Medina bisogna camminare a passo spedito, guardando sempre diritto davanti a se e ignorando ogni richiesta di chi vi avvicina chiedendovi di dove siete.

Basta un niente, un “La, shukran” (no, grazie) detto con un determinato accento che sarete subito classificati come turisti italiani e vi cominceranno a parlare in fluente italiano. Basta un attimo di esitazione, un guardarsi attorno con aria smarrita, consultare una mappa e frotte di ragazzini vi saranno attorno per accompagnarvi in cambio di qualche dirham.

Noi con i nostri occhi azzurri, le borse a tracolla e l’aria smarrita da primo giorno in Marocco, primo giorno per tutti in un paese arabo, siamo i polli perfetti. Neanche mezz’ora e abbiamo già una “falsa guida” appiccicata addosso.

Si chiama Abdullah, ha 20 anni e parla un perfetto italiano. Rispetta tutti i canoni della falsa guida descritta nella Lonely Planet: dichiara di volerci accompagnare in giro solo per poter esercitare il suo italiano, visto che tra un anno si traferirà a Bologna per studiare, dice che non vuole soldi, solo mostrarci la sua città e esercitare il suo italiano. Noi ci rassegniamo e intontiti dal caldo ci facciamo sbattere da un negozio all’altro.

Ma io ho un obiettivo per chiaro in testa. Voglio un borsone di pelle da viaggio e ho studiato che Fès è il posto migliore per acquistare la pelle.

Ci facciamo quindi accompagnare alle concerie, dove all’ingresso distribuiscono rametti di menta da mettere sotto il naso per sopportare l’odore. Ci fanno vedere come lavorano la pelle: anche se è festa c’è comunque qualcuno calato fino alle ginocchia in queste grandi pozze di colorante e ammoniaca che sta sta lì, sotto il sole cocente, a lavorare la pelle.

Mi chiedo se davvero voglio una borsa che chissà quali malattie della pelle avrò provocato a quell’uomo, ma alla fine la vanità è più forte dell’etica e mi innamoro di un borsone di pelle color rosa cipria.

Mi immagino transitare per gli aeroporti portano leggiadra quel borsone dondolante dal gomito, niente più trolley con le loro volgari rotelle. Il venditore vuole 3mila dirham, circa 300 euro, io mi dichiaro disposta a dargliene 50. Andiamo avanti così per circa mezz’ora, con grandi scene melodrammatiche da parte sua. Alla fine interviene la moglie che gli indica la collana che ho al collo. Una collanina fatta da biglie di plastica colorate, non costerà più di venti euro.

L’affare si chiude a mille dirham e la mia collana di plastica al collo della moglie del venditore. E uno scomodissimo (e puzzolentissimo) borsone di pelle graverà sulle spalle di autisti, guide e portantini vari per i prossimi 11 giorni.

(A proposito, qualcuno di voi conosce un sistema per togliere l’odore della pelle? Non rispondetemi che chi si compra le cose di animali morti poi dopo deve accettare anche l’odore di animali morti)

Fotor-concieria

Quella che disorienta noi occidentali nei grandi souk del mediorientali è l’assoluto relatività del valore di ogni merce, ogni oggetto può costare un arco monetario che va da un minimo  a un massimo distanti centinaia di euro. E per ogni acquisto bisogna fare lo sforzo di star lì a contrattare, bere the alla menta, guardarsi negli occhi, far finta di andarsene, essere richiamati e ancora fino allo stremo delle forze. Dopo una giornata di shopping rischi di andare a dormire con la tachicardia per i troppi the alla menta bevuti.

Intanto il nostro giro a Fès continua sotto un sole cocente e battente in cui in comincio a capire la sensazione di “venir meno dal caldo”. Nel tardo pomeriggio, allo stremo delle forze, congediamo la nostra guida che guarda non aria di sufficienza la mancia che gli porgiamo e fa il solito gesto di rifiutarla facendo leva sul nostro senso di colpa di occidentali ricchi per farsela alzare. Il solito teatrino.

 

Fotor-fez-4

Ma intanto soli ai bordi della Medina e c’è da tornare al riad, dopo giri vari, inseguimenti di ragazzini, mandate a quel paese di ragazzini, siamo costretti a farci riportare al portone da due adolescenti con la sigaretta sull’orecchio. Gli porgiamo una monetina, uno dice che non è sufficiente e che ce ne vogliano due, io gli rispondo che al massimo gli posso dare una sigaretta e lui mi ride in faccia dicendomi che fuma solo “cioccolata”. Ci attacchiamo al citofono e quando il portone si apre ci riversiamo dentro come chi entra nell’arca della Salvezza mentre si scatena il Diluvio Universale.

Un altra cena sull’aria calda e ferma del terrazza e il muezzin annuncia che anche l’ultimo spiraglio di luce è sparito laggiù ad Occidente.

 

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