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Rimini Rimini Rimini

18 October 2013

A Rimini non c’ero mai stata. “Ah, ma come, non sei mai stata a Rimini?”  –  “No, non ci sono mai stata, a 16 anni stavo a casa a leggere Thomas Mann invece di andare in vacanza a Rimini, e poi comunque, che vuoi, sono di Sorrento, nessuno andava in vacanza sull’Adriatico”.

“Hanno ucciso l’uomo ragno chi sia stato, non si sa” – cantava Radio DeeJay in diretta dall’AcquaFan di Riccione.

“Ho comprato anche la moto, usata ma tenuta bene” cantava Luca Carboni da una cassetta registrata alla radio.

Arrivo a Rimini a 33 anni per la prima volta, consapevole che non ci sarà mai una prima volta in cui andrò a ballare a Cocoriò o al Peter Pan, consapevole non ci sarà una prima volta in cui farò ciao ciao con la mano alle telecamere di Lucignolo mentre mi tuffo a mare e in realtà non mi tuffo perché l’acqua è bassa e bisogna camminare e camminare.

C’è una certa fase della vita in cui ti accorgi che è troppo tardi per certe prime volte. Perché non si può vivere di tutto, non si possono vivere tutte le esperienze mainstream che ti passano davanti e bisogna accordarsi al come sei.

La mia prima volta a Rimini si modula subito in chiave di mi minore malinconico andante. Dai finestrini dell’autobus scorrono insegne troppo grandi e troppo luminose. “Da Pio, speciale nella carne e nel pesce” – “Piadineria, panineria, chiccetteria”. Aragoste giganti e luminose lampeggiano nella prima sera di un autunno ancora caldo. Ancora troppo caldo.

L’albergo si trova a Riccione. E’ una grande scatola bianca con tutti i balconi illuminanti, più in là, oltre altre scatole, si indovina il mare. Un mare calmo.  Una piscina piena di acqua piovana gira tutto attorno. Nella reception alzo la testa e c’è il soffitto a specchio, il corridoio mi ricorda quello di un motel della Route 66 dove un mattina trovai una donna svenuta sulla moquette con le scarpe glitterate ancora ai piedi.

La camera è uno di quelle camere di Mad Men dove si va per fare sesso. Accanto al comodino un telefono dove aspetto che da un momento all’altro mi chiami Roger Sterling. Non c’è una presa per mettere a caricare il cellulare vicino al comodino. Sul balcone un minuscolo stendino che servirà ad asciugare i costumi da bagno.

Venere sorge tra i palazzi.

E’ una camera troppo triste per passarci una serata da sola. Ho paura dell’Uomo Pecora che vive nei piani fantasma degli alberghi tristi.

Usciamo. Esco. Su FourSquare mi segnala una piadineria a 20 metri dall’hotel. Eccola, sembra chiusa da 15 anni che però forse saranno solo 15 giorni. Proviamo ad andare verso il centro. Cammino lungo un viale costeggiano negozi chiusi, piadinerie chiuse, pizzerie chiuse. E’  mercoledì 16 ottobre del 2013. Sembra di essere una domenica pomeriggio degli anni ‘60 che alla radio hanno appena annunciato che i russi stanno per attaccare. Fermo una signora per strada e chiedo dov’è che posso trovare qualcosa di aperto. Mi indica Viale Ceccarini “dove c’è qualcosa”.

Mi fermo nell’unico ristorante aperto, mi siedo a un tavolino all’aperto scaldato da uno di quelle luci-stufe che si portavano tanto a Stoccolma. A Stoccolma però c’erano -10. Qua ci sono 20 gradi e devo togliere la giacca restando a maniche corte. Vista da lontano magari sembro una nordeuropea in vacanza che ha sbagliato periodo. O forse no, forse è una scrittrice che insegue una melodia in mi minore. Ordino piadina e birra mentre il cameriere ciarla degli immigrati che ci vengono a rubare il lavoro.

Torno in hotel, stasera c’è 16 anni e incinta. Ma purtroppo la storia di stasera è troppo felice per piacermi.

La notte dormo sul materasso più duro su cui abbia mai dormito. Le lenzuola sono di cartone.  Tendo l’orecchio ai rumori delle stanze d’albergo quando sei da sola.

Al mattino dopo, a colazione mi incanto a guardare un tavolino con un vaso di fiori finti e al lato due bicchieri coi tovaglioli a ventaglio dentro. “Perché?”- non posso fare a meno di chiedermi.

La malinconia è un surrogato di Nutella in monoporzione da spalmare sottile sul cuore.

Fotor-vittoria

Rimini mi riappare la sera dopo ed è un centro storico come tante città d’Italia, uno di quei centri storici di sanpietrini e piazze e bar all’aperto per cui gli stranieri impazzisco. Siamo ad evento di quelli con l’hashtag stampato sull’invito pieno di persone chine sull’iPhone a mettere un filtro EarlyBird sul proprio divertimento. Mangio un altro piadina e poi dico “Andiamo via, voglio vedere Rimini”.

Arriviamo all’Arco di Augusto dove finiva o forse iniziava un via romana di cui non ricordo il nome, l’avremmo letta sul pannello informativo, ma avevamo già bevuto un po’ troppo e poi la luna era tonda e brillava sopra le torrette dell’arco. Torniamo indietro fino a un ponte che invece era di Tiberio e passa sopra a un fiume, ma forse è un canale e l’acqua è gialla. Lui mi dice che è il porto, ma io ho un’idea un po’ diversa del porto e comunque barche non ce ne sono. L’acqua è talmente calma che il riflesso dei lampioni neanche si muove.  Da un certo punto tra le case spunta un grattacielo e lui mi dice che una volta tutte le città della Romagna volevano un grattacielo e ora eccolo là che brilla solitario di uffici affittati a basso costo.

Ci giriamo dall’altra parte e da una specie di lago, che forse è un bacino, sale una nebbia da Divina Commedia. Forse è il lago d’Averno che si sta aprendo per noi. I peccati verranno messi in permuta Taeg 0%.

Nella hall dal soffitto a specchio la receptionist sta facendo il check-in a due bionde in body di pizzo nero, “amiche” di due agenti di viaggio con la fede al dito. Chiudo la persiana sulla luce del mio balconcino che non si può spegnere.

E fu notte e poi ancora giorno. Ci infilano di nuovo in un autobus per portarci alla fiera. Si fa la strada sul lungomare e dai finestrini sfilano gli alberghetti a gestione familiare già chiusi per ferie. Hanno tutti delle piccole piscine davanti all’ingresso, alcune che fanno un ardito giro sotto le scale d’ingresso. Alcune hanno teloni verdi a coprirle, altre si stanno riempendo di acqua piovana. Scivoli di plastica scolarita (Com’era quel racconto di Carver su quello che pulisce piscine?). Ogni tanto, nello spiraglio tra i palazzi si vede il mare che è celeste pallido illuminato da un sole pallido. Compare il fantasma di una colonia. “Colonia estiva” si legge sull’insegna di un edificio in mattoni dalla finestra sfondate. Estati di bambini pallidi portati a prendere l’aria buona del mare, canottiere e sandali di plastica.

E’ solo un altro ricordo che non è il mio e sfila via dal finestrino.

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