Un post del ringraziamento

28 November 2013

Chi ha studiato Scienze della Comunicazione, o qualcosa di simile, sicuro si ricorderà della Piramide di Maslow. Era quella cosa che diceva che prima di tutto nella vita devi soddisfare i bisogni primari, mangiare, bere, dormire e poi man mano salire ai livelli superiori come il bisogno di appartenenza o il bisogno di trascendenza, che è l’ultimo dei livelli.

E’ ovvio. Chi ha fame deve prima pensare a mangiare e poi a diventare immortale.

Noi nei nostri melodrammi ombelicali spesso ce ne dimentichiamo, ma stiamo tutti a metà della piramide: mangiamo ogni giorno, beviamo quando abbiamo sete e per combattere la ritenzione idrica, abbiamo un tetto sulla testa e viviamo in uno stato pacifico. Siamo liberi, abbiamo un passaporto per andare ovunque e caloriferi da accendere per quando abbiamo freddo.

Oggi è thank’s giving, è un buon giorno per ricodarlo e per ricordare di essere nati dalla parte fortunata del mondo, dove devi solo preoccuparti dei tuo bisogni psicologici, perché quelli fisiologici sono già a posto. Stitichezza a parte.

Oggi è il giorno giusto per importare un’altra bella tradizione americana: ringraziare le persone vicine per quello che si ha.

E ora che sono fuori da un periodo, che senza esagerazione, posso definire il Più Brutto della Mia Vita,  è doveroso ringraziare chi mi ha aiutato a venirne fuori.

Dico grazie:

Allo svedese per avermi lasciata, se no a quest’ora starei stata nel mio studio casalingo a guardare un tramonto precoce sul Malaren che sicuramente sarebbe stato bellissimo e struggente, ma io sarei stata triste e sola a guadare gli scintilli d’oro della torre del Municipio. Con una bella casa, una valigia sempre pronta, una vita da jet-set, ma con accanto una persona che manco il cestino della biancheria sporca voleva condividere. E i gioielli, pur se sono Tiffany, non fanno molta compagnia. E presto altra neve sarebbe caduta a rendere tutto ancora più silenzioso.

Al Capo, che se devo dire una persona al mondo che mi vuole bene incondizionatamente, io dico lui. Per avermi dato un Mac Air per lavorare in tutti gli aeroporti del mondo, per avermi lasciato libera di andare a provare cosa volesse dire vivere in Svezia, per aver sempre tenuto vuota la mia scrivania fin quando non sono tornata, per tutte le bottiglie di vino bianco che ha stappato quando mi sentivo un po’ triste, per tutte le linguine all’astice che ha ordinato per me, per tutte le volte che mi ha portato al mare anche quando non ne avevo voglia, per tutte le volte che mi ha lasciato divano e televisione per guardare XFactor.

A mia mamma, per quando quest’estate mi ha detto “Un po’ di pazienza, soffri ora per non soffrire tutta la vita”. E aveva maledettamente ragione.

Alle mie compagne di viaggio che si sono preoccupate per me, che mi hanno tenuto la testa mentre vomitavo, che mi hanno portato the caldo e plasil, che hanno cercato di farmi parlare e dopo due mesi, che già avevamo indossato di nuovo i cappotti, a vedermi di nuovo con gli occhi luminosi sono state felici per me. E si vede quando uno è veramente felice per te e non lo dice tanto per.

 Ai ragazzi che lavorano con me, per tutte le risate, e i caffè e le pizzette e le serate carnivore e le serie americane passate su dropbox. Perché se lavori in un posto dove sai che ogni giorno ci sarà una risata è tutto più bello. E per quella sensazione di essere nel posto giusto, che sia dietro la mia scrivania o davanti a una fiorentina di mezzo chilo, ma con loro accanto che mi fanno ridere.

A Don Draper, che mi ha tenuto compagnia nei momenti peggiori.

A Ragazzo Nuovo, perché non si è lasciato scoraggiare. Per tutto quello che verrà.

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