Quella luce accesa sulle scale

27 November 2014

Ho un’abitudine fin da quando ero piccola, che forse è una brutta abitudine o forse no.  Quando la sera mi metto nel letto faccio il giro del cervello per controllare che sia tutto a posto e qual è il punto che non è a posto. La situazione irrisolta. L’ansia per una cosa che devo fare. La delusione per qualcosa che è andato male. L’elenco puntato dei disagi. Quello che manca per raggiungere lo stato della perfetta beatitudine. Lo stare senza pensieri. Tipo quella sensazione di quando è venerdì sera che fuori piove, sta per cominciare il boss delle Cerimonie, al citofono bussa il ragazzo della pizza, lui è accanto a me sul divano, non deve lavorare, dormirà a casa e domani è sabato e tutto va bene. Cose così.

E mi rendo conto che sono un bel po’ di mesi che giro e rigiro ed è tutto a posto. Al netto delle normali piccole ansie.  Tutto a posto come i cuscini sul divano la mattina dopo una festa, come le candele a metà colate sul candelabro, come la tovaglia macchiata di vino, come i fazzoletti sporchi sotto il cuscino. Tutto a posto nell’allegria dell’imperfezione. Perché anche se certe volte a contarci i soldi in tasca arriviamo in due a 7 euro e 50, anche se il cestino della biancheria sporca straripa e i panni da stirare occupano tutte le sedie del soggiorno, anche se l’acqua calda non basta mai per due docce, siamo sempre capaci di ridere davanti ai fornelli e a una cena riscaldata nel microonde.

E allora questo giorno del ringraziamento dove non ho tempo di imbottire un tacchino (al massimo posso arrivare a un pollo saccoccio) almeno sia onorato con un Grazie. Per tutto. Soprattutto per quelle sere che torno a casa e da lontano vedo la luce accesa. E capisco che c’è qualcuno ad aspettarmi. O da aspettare quando la luce è spenta.

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