Blon in translation

8 January 2006

Ricordo come uno dei giorni più belli della mia vita quello in cui tornai a casa e trovai il pianoforte appoggiato alla parete. Un Furstein nero lucido con i tasti bianchissimi e uno sgabello dove non toccavo bene con i piedi per terra. Avevo 12 anni e non avevo mai desiderato niente così intensamente come il pianoforte. Non ho mai desiderato altro nella vita così intensamente come il pianoforte. Non sono mai stata brava, non ho mai avuto orecchio, ero capace di suonare solo seguendo la musica. Chiave di violino mano destra, chiave di basso mano sinistra. Gli accordi di terza maggiore, gli armonici, la scala di re maggiore. Una vita che scorreva placida sui tasti, Le sonatine di Pozzoli, i valzer di Chopin. Il valzer numero 10 di Chopin, interi pomeriggi. Le suite di Bach. Il solfeggio. Pomeriggi tutti intorno al tavolo e le dita al tempo di 2/3. Le terzine, il setticlavio, il dettato melodico. Tutta la mia vita a 12 anni. Le nuvole rosa messe ad asciugare sui fili del treno quando alle sei di sera uscivo dalla scuola di musicaLost in translation stasera riapro il pianoforte. Mi arrampico sulla libreria e ripesco Chopin. Le dita ricordano, il pianoforte è scordato. E’ stato accordato l’ultima volta dieci anni fa. Poter vivere ancora solo di toni e semitoni.

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