Il sonno della provincia genera mostri

15 October 2006

L’estate è finita (ed i bar sono chiusi per ferie). Tra gli aspetti positivi c’è che finalmente puoi mettere gli stivali senza che nessuno ti chieda: “ma non hai caldo?”. Ci puoi mettere anche i calzettoni a righe da sotto e la gonnellina a piegoline da sopra. E’ fantastico l’autunno. Solo che, appunto, i bar estivi chiudono. E non puoi continuare a passare le tue serata buttato come un barbone giù alla spiaggia con birrozza in mano. No, bisogna ORGANIZZARSI PER IL SABATO SERA.Alla nobile età di 26 anni però posso dire di aver superato tre inceppi post-adolescenziali:1) La comitiva. Quei gropponi di 20-30 persone che uno vuole andare a ballare al muccassassina e un altro a mangiare la pizza da Gigino il suzzuso. Quelli con le coppiette che litigano. Quelli che bisogna organizzare la macchina e non ci sono abbastanza macchine. Quelli che siete in trentaquattro e che nessuno vi farà mai entrare.2) Il preparamiento. L’apparata femminile del sabato sera della taccola femmina che deve attizzare il taccolo maschio. Must n1: il capello liscio. Non sia mai detto che puoi uscire di sabato col capello non piastrato. Ci sono dei buttafuori che ti tagliano la strada direttamente sotto il portone di casa. E il trucco. Linea nera ombretto illuminante mascara fard fondotinta lucido. Se qualcuno ti passa un dito in faccia sotto ci escono gli scavi di Pompei. Per fare prima ti potresti far dare anche due cazzotti negli occhi da tuo fratello. Effetto eroin-chic perfetto. Ma soprattutto: l’abbigliamento. Si comincia alle 4 del pomeriggio con le telefonate e le prove. “ma tu che ti metti? ”non ho un cazzo” “il jeans o la gonna?” “e la gonna con le autoreggenti è troppo battona?”. La sera sguardi inferociti a chi aveva proclamato di mettere jeans e stivaletti e si presenta in longuette e decolté.3) Il sabato sera bisogna uscire perché se no sei un fallito sociale. Il cazzo. E’ esattamente il contrario.Fatto sta che sabato verso le 11 ci ritroviamo in cinque di noi con una Tennents in mano ci guardiamo e facciamo: “Che amma fa”. Rapida rassegna di tutti i locali della penisola. Scene mentali di divani bianchi e illonguimento. Conati di vomito. Andiamo fuori. “Dove andiamo?” “Andiamo a Cava che ci sta un sacco di gente ed è cafona”. Andiamo a Cava. Dove andiamo a Cava? “Uah, andiamo a quel locale trash dove fanno le feste per gli addii al nubilato, il Porkyk, che non ci vado da quando avevo diciassette anni”. Cioè tipo dal secondo dopoguerra.Ed è esattamente quella l’atmosfera. Da secondo dopoguerra. Quando vedi la gente che ricomincia a uscire a spandica per una briciola di divertimento. Le femmine sembrano tutte delle battone russe messe lì per dare il premio ai soldati di ritorno dalla Lunga Marcia. Pantaloni leopardati. Top di raso e pizzo di infima qualità. Maglietta di velo nero con rotolo di pancia che esce da sotto. Stivali bianchi a punta. Rossetti rossi brillanti. Stanno lì a bere e a lanciare urletti sbattendo le mani come se la guerra fosse finita da tre giorni. I gruppi di maschi. Ai tavoli con davanti un secchiello con la bottiglia di prosecco che sta quindici euro e ha il tappo di plastica e non ti portano manco il bicchiere di vetro ma fa bella figura avere il secchiello davanti sul tavolino. Esattamente come ci sentiamo noi. Champagne nel bicchiere di plastica. Ci sediamo esattamente in mezzo al locale. Perché se stiamo in mezzo ai tamarri dobbiamo essere più tamarri di loro. “Cameriera! Champagne da 15 euro e cinque bicchieri di plastica!” E lo stappiamo col botto. E chi viene colta prima dal tappo di plastica troverà la puntina che scaccia il chiodo. Sul palco il solito cantanteanimatore che fa sbattere le mani al ritmo di “sciogli le trecce ai cavalli, ballano…” Abbiamo già dato a sedici anni, grazie. E tutte là che agitano il fianco da omino michelin quando parte bamboleio. Sembra di stare in una puntata di buona domenica però in un televisore rotto che allarga la gente. Ad un certo punto sale sul palco il pezzotto di Simone Schettino che comincia la solita gag a sfondo sessuale sulla trombata in macchina. Tony Tammarro è arrivato vent’anni prima di te, ciccio. Risate facili ed ecco il momento che immaginavamo arrivasse e per il quale tenevamo a portata di mano la borsetta. “Ora scendo a prendere qualche ragazza per giocare assieme”E’ un attimo. Tre sguardi si incrociano.Camilla: “Ragazze, io vado fuori a fumare”Alda: “ma sì, una sigaretta me la fumo anche io”Marinella: “Ho appena deciso di cominciare a fumare”Rientriamo a casting terminato.Sul palco tre tipologie: la battona pura e semplice con pants di leopardo, la battoncella di provincia che per una sera vuole essere trasgressiva e ha organizzato con le amiche una serata trasgressiva in un locale trasgressivo e la povera ragazza “ che io manco ci volevo venire qua, io volevo andare a mangiarmi una pizza in santa pace e guardate, sto col jeans e la felpina, mica come queste prelevate direttamente dalla Domiziana!”Il giochino è semplice, si fa ballare su una canzonetta di madonna alle ragazzuole facendo leva sul loro narcisismo da veline di provincia. Ti do dieci punti se mi fai vedere l’ombelico, altri dieci per la bretellina del reggiseno. Dieci se ti strusci addosso a me. E fin qui niente di diverso da un normale casting mediasete. Ma poi bisogna dare soddisfazione alle carovane di maschi in camicia bianca superinamidata con colletto alzato che si sono fatti il capello col gel per venire a vedere due porcate al porkis. Per entrare in finale le nostre veline devono far vedere il reggiseno. Nessun problema per le prime due tipologie, le battone e le finte timide che mostrano senza problemi i loro completini intimissimi del sabato sera. Messi nella speranza di farli vedere in una macchina parcheggiata in una curva di campagna con la scusa di “lo metto per stare bene con me stessa”. Le vere timide si nascondo dietro una colonna e non fanno vedere altro che uno sprazzo di reggiseno sportivo bianco da sotto la canotta e la cosa finisce là. Ma non basta. Bisogna fare vedere la mutanda. Una cinquantina di cellulari si aprono e vengono puntati sul palco per un video da mostrare agli amici che sono andati in pizzeria il giorno dopo. E qui la differenza si fa netta. Le battone vere non fanno tante storie e dopo due tre sculettamenti si abbassano il pantalone leopardato e offrono al gentile pubblico un filo nero nelle chiappe. Le battoncelle mostrano solo il triangolo che esce dal jeans a vita bassa lasciando all’immaginazione su dove il filo si vada a perdere. Sono una decina e hanno tutte il perizoma. Non metto il perizoma da almeno tre anni. Trovo degradante girare con un filo scomodo nelle chiappe per far eccitare un uomo. Mai creduto a quelle cesse che dicono “ io indosso solo perizomi, li trovo più comodi delle mutande”. ( qui il manifesto programmatico del gruppo “notanga”) Penso alle mutande rosa a pois che ho su. Abbiamo tutte e tre lo sguardo allucinato. Col bicchiere di carta con dentro il prosecco guardiamo a bocca semiaperta verso il palco con la stessa espressione di chi guarda un documentario sui costumi sessuali degli indigeni della Nuova Papuasia. Il presentatore, che sfoggia una maglietta con su disegnato una mela e sotto scritto “dai?” non è contento. La vincitrice sarà quella che mostrerà le tette. Non ci credo. Nessuna donna non pagata può mostrare le tette a un ammasso di adolescenti sudati che la filmano col cellulare. Eppure. Eppure senza fare tante storie le due battone vere alzano il top di lycra. Applausi e urla scimmiesche. Coretti di popo-popopo-po. E’ chiaro si tratta di due pagate dal locale. I due ragazzi con noi si asciugano il rivolo di bava che gli pende dal mento, ritornano in sé e fanno “che spettacolo triste. Lo trovano divertente quando avevo diciotto anni”. L’occhio ancora vacuo segue con lo sguardo le due battone scese dal palco. Le tre zitelle inacidite pretrentenni pensano a quando indossavano perizomi con farfalle dorate sopra. In un attimo il locale si svuota. I bicchieri di carta rotolano a terra. Il tappo di plastica dello champagne rimane abbandonato sotto una sedia.

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