Verginità pseudo-artistiche

3 December 2006

Ventisei anni e posso dire ancora “la prima volta”.La prima volta che vado a teatro. Agnano. Rassegna di corti teatrali. Domenica sera umida di luci al neon della tangenziale. Un capannone di periferia. Sciarpe di lana maglioncini di cachemire, arie annoiate radical chic dietro occhiali bordò. Noi vestite nella miglior versione “fuori paese” per dire. “Guardate, siamo anche noi radical chic. Mettiamo anche noi il vestitino con il cappottino di lana cotta e il capellino alla francese. Non siamo mica della provincia. Noi”.Posto fin troppo in prima fila.Nell’ordineCorto 1 un’invasata con accento calabro siculo che pensa per fare teatro d’avanguardia basta mettersi due pezze bianche addosso agitarsi come una baccante, guardare un punto fisso nel vuoto e agitare le braccia a mo’ di volo. Voglio dire, non ne so niente di teatro d’avanguardia, ma mi sembrava troppo una sperimentazione diciannovenne. E il testo non mi sembrava andasse più in là di un Gibran sedicenne. Ma forse non ho capito niente.Corto 2 Testo carino con pretese di metateatro ma recitato in un maniera che mi sembrava una via di mezzo tra il laboratorio teatrale del V ginnasio e la sfida settimanale di recitazione alla scuola di Amici di Maria De Filippi. Ma forse non ho capito niente IICorto 3 Una tipa che fa la casalinga disperata napoletana. Si ride ma a me pare zelig, mica un corto teatrale. Ma forse non ho capito niente IIIPost corti Pasta e fagioli e vino. E quelli li ho capiti pure troppo bene.Giudizio finale Non credo che riuscirei mai a reggere uno spettacolo di due ore. Ma si sa, alla prima volta difficilmente si raggiunge il piacere.

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