Collywood and something else

23 February 2008

Chi mi conosce bene sa che fondamentalmente dico e faccio, ma la mia più grande ambizione (nonché vocazione) è vivere in un eterno sabato mattina resto ancora a letto leggendo Vanity Fair e mangiando un plum-cake caldo con le gocce di cioccolato.Ora però. I plum-cake con dentro le gocce di cioccolata a casa mia non si portano perché sono un inutile addittivo calorico, a parere di mamma wannabe taglia 38/40 per mia figlia, quindi solo plum-cake semplice.Secondo punto. Vanity fair costa un euro e ottanta. Plus, a me non che piace solo Vanty Fair, mi piace anche la roba che sta pubblicizzata dentro. Soprattutto quella delle doppie paginate subito prima dell’indice. Anche se al massimo mi posso regalarmi una cosarella scelta dalla rubrica “San Valentino: regali low cost sotto i cinquanta euro”. ( No, non i copricapezzoli a forma di cuore con i brillanti).Ma fosse solo questo, non sarebbe un problema, ci sono modi molti più semplici che avere Vanity Fair e sponsor che non lavorare. Tipo un fidanzato ricco ( nobile istituzione di cui ho sempre sostenuto l’alta valenza morale ed etica).Il problema fondamentale è un altro. Nasci negli anni ottanta, cresci negli anni 90. Ti dicono che sei intelligente, che sei brava a scrivere, che avrai una carriera sfolgorante nel campo del giornalismo. Tu ci credi pure, perché a quindici anni non avevi ancora capito che, probabilmete, il fatto che non riuscissi a portare a termine manco la versione di greco tratta dalla favola di Esopo, era sintomo di un’inguaribile tendenza alla nullafacenza. Così, con ferma convinzione in te stessa e una notevole dote di saccenteria, ti sei iscritta all’università, laureata e tutto il resto. Tanto quello era facile. E tutti continuavano ad aspettarsi da te una sfolgorante carriera. Allora tu visto che tutti se lo aspettavano da te e la parabola dei talenti e la donna realizzata e stronzate del genere ci cominci a provare.E furono tempi di treni umidi di ombrelli gocciolanti, pianti sulle scale antincedio, un pacchetto intero di sigarette al giorno, Dal lunedì al giovedì arrivando che venissi il venerdì. Lunedì, benvenuti nel primo giorno della fine del mondo. L’inutilità di un martedì dopopranzo ( fuori già si sente primavera). Forza, siamo già a mercoledì pomeriggio, il giro di boa (mettersi gli occhiali da sole nel treno del ritorno). La sospensione del giovedì. La perfezione del venerdì sera quando esci e il tramonto è rosa cittadino e i vetri illuminati degli uffici ti dicono che sì, è venerdì sera, e la leggerezza colora di azzurro l’acqua della fontana del CdN e hai voglia di andare a piedi. La dolcezza del sabato mattina. L’ansia della domenica sera quando nel piatto restano i cornicioni della pizza che mangi distrattamente per restare ancora un po’, solo un altro po’ nella domenica.E poi basta. Ti dicono che sei brava, bravissima, troppo, ma putroppo la situazione è questa. Perché non ti prendi un po’ di pausa, diciamo un paio di mesi? Qua per persone come te non è che ci sono grandi opportunità di crescita. E così stop coi treniE così, giusto per avere una ragione per farsi uno shampoo, un lavoro nell’agenzia in paese. Manco nel centro del paese. Sulle colline del paese. Collywood. Dove lavoravi part-time prima di laurearti. Ti dicono “là sei sprecata” “è un passo indietro” “magari vacci nell’attesa di trovare qualcosa di meglio”. Il primo mese è tutta un’ansia da mancanza di ansia, di treni, di sveglie che fuori è ancora buoi, di ritorni a casa che c’è la sigla iniziale di Porta a Porta. Di cazziatoni e telefonate che non hai voglia di fare e scadenze e report. Della tua capa che ti ripete che devi a te stessa qualcosa di più e tu ti senti in colpa perché non riesci essere meno indulgente verso la tua latente tendenza alla nullafacenza. Il primo mese un poco ti vergogni a dire “lavoro sopra i colli”, e quando ti dicono “Stai sempre a Napoli?” a volta ancora dici “Sì”. Perché ti vergogni di dire “No, non mi hanno rinnovato il contratto. Ora lavoro qua in penisola”.Ma poi all’improvviso, un venedì sera, stappando un crodino dopo aver montato tutti assime la libreria nell’ufficio nuovo con le pareti verdi e le poltroncine rosse ti rendi conto che sei felice. E non ti era manco resa conto che fosse venerdì. Che non conti più i giorni della settimana. Che la domenica sera non hai più paura di tornare a casa. Che il lavoro che fai ti piace. E non devi fare telefonate. E ti alzi alle 8.15 . E vado in palestra. E a pranzo torno a mangiare a casa. E sono dimagrita sei chili.E nessuno provi più a dirmi che sono sprecata.Collywood, just fresh.

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