Guida a Facebook per socialmente inetti

9 July 2008

Mi sono iscritta a Facebook tipo un anno fa perché mi sembrava brutto non essere iscritta a una cosa così web-trendy. Io sono un animo molto sensibile verso tutto ciò che è web-trendy. A parte myspace. Ora, per esempio, ho difficoltà a prendere sonno perché il mio blog non ha ancora la favicon e l’iconcina con il collegamento ad anobii.
Dicevo. Mi sono iscritta a facebook perché l’articolo di Michele Neri su Vanity Fair diceva che non eri nessuno sul web se non avevi un profilo su facebuc E facciamo il profilo su facebuc. Ma è rimasto là. Ogni tanto qualcuno mi voleva essere amica. Io io accettavo di essere sua amica. Tranne nel caso di ex ragazzi potenziali serial killer. Ma questa è un’altra storia. Cmq, stava là, con la mia solita fotina in barca dove sembro una ragazza ricca e felice ( anche se la mia massima ambizione plateale sarebbe sembrare una ragazza ricca, annoiata e lievemente anoressica).
Ogni tanto mi arrivava qualche messaggio del solito ex potenziale serial killer, ma in definitiva, proprio non riuscivo ad afferrare l’altissimo potenziale di azzeccamento. Che sapevo che c’era, ma che non riuscivo ad afferrare ( non che io non sia una ragazza facile all’azzeccamento, voglio dire). Fatto sta che ogni tanto davo un occhio ai miei amici milanesi chiachielli e vedevo che loro erano sempre pieni di amici, send a hug, who is the hottest single? Ma io proprio non afferravo. E mi sono detta. “Il social networking non fa per me”. D’altra parte io sono sempre la ragazza che non ha mai avuto una comitiva, se non strani gruppi di amici più border line di me.
Ma quale luogo migliore se non ritrovare i propri amici border-line se non internèt?
Così, in una contora che la parmigiana di melenzane pesava troppo sullo stomaco per lavorare comincio a mettere nel campo “cerca amici” tutti i miei vecchi amici punkabestia con chi mi accompagnavo nei giorni elettrici e veloci a cavallo tra il 9 e lo 0. Di quelli di cui mi ricordavo il cognome. E poi via a scendere, compagni delle medie, del liceo, dell’università, vecchi colleghi di lavoro, addetti stampa, politici che ho intervistato, rappresentanti di Confindustria di cui mi ricordo ancora il cellulare a memoria, amici di treno e parenti di secondo grado.
Capisco di esserci finita dentro. Non senza un briciolo di soddisfazione. Voglio dire, se c’è un nuovo modo trendy di perdere tempo su Internet invece che lavorare, perché io invece devo impiegare quel tempo a lavorare? ( perché il mio lavoro mi piace e presenta anche esso un elevato potenziale di azzeccamento puntiforme? Suvvia…)
Ed ecco che il giorno dopo mi arrivano tutte le risposte di chi ha accettato di essere mio amico. E comincia il dramma.
“Ciao Camillaaa! Che bello trovarti qua! Da quanto tempo non ci sentiamo! Tu che stai facendo? Io lavoro per un agenzia di pubblicità a Milano. Io frequento un dottorando a Barcellona. Io sto seguendo un corso di fotografia di nature morte in bianco e nero a Portland. Io sto frequentando un master in linguaggio non verbale tra gli inuit a Uppsala. Io vivo a Londra e faccio la road manager per un gruppo di jazz fusion latin rock che suona solo in club ricavati da grotte tufacee. Sai per l’acustica… Certo, il lavoro è tanto, ma si sta benissimo qui a Okkaido. E tu che mi racconti? Ricordo che volevi fare la giornalista. Scrivi per qualche giornale? Ora vado, che c’è un sushi happy hour che mi aspetta. Baciii! “

E capii che era meglio concentrarsi e mettere la favicon nel blog. E pure gli snap-shot.

<Re: “ Perché farti mille chilometri quando puoi fallire comodamente a casa tua?” >

( Gianfranco Marziano )

Comments are closed.

×