Della differenza tra le 8.23 e le 6.23

10 September 2008

Stanotte mi sono svegliata che dovevo andare in bagno.  Le lancette fosforescenti dell’orologio segnavano le sei e mezza. E ho pensato che dovevo alzarmi, che tra meno di un’ora avrei dovuto prendere il treno. Un attimo di presa di coscienza e mi sono ricordata, che no, non facevo più quel lavoro. Che non dovevo prendere il treno delle 7 e 21. Quello era un anno fa. E nella confusione del dormiveglia mi sono piombate addosso tutte le mattine inanellate di sveglie alle 6 e 23 che fuori è ancora buio, e piove, e “ benvenuti nel primo giorno della fine del mondo”.  Addormentarsi a Pompei Villa dei Misteri, svegliarsi a Santa Maria del Pozzo. I treni tristi della sera. Piangere da dietro gli occhiali da sole quadrati e neri calati sul naso anche se fuori è buio.   Io e Alda che mangiamo senza parlare  sacchetti patatine San Carlo unte e salate  e pesiamo 65 chili a testa.  Ingozzarsi da sola di double cheeseburger e patate vertigo maionese e ketchup al Mac Donald del centro direzionale. “Lo spleen che si infila come gas nervino sotto le pareti di cartongesso”.  La fila alle ascensori, le ragazze dei call center con la french come corteggiatrici di Uomini e Donne, i ragazzi del bar con i capelli a cresta come quelli di Amici.  E il lavoro: mezza giornata per scrivere una circolare che nessuno leggerà mai, fare le otto di sera e andare a lavorare il sabato per scrivere progetti inutili per inutili finanziamenti statali e parastatali che andranno a finire in tasche già troppo piene, buttare il sangue su progetti che non si concretizzeranno mai.  Dirsi: chi fravica e sfravica non perde mai tempo.  La mia vita per cinquecento euro al mese. Cinquecento.

Io ogni tanto gli chiedo: “tesoro, ti ricordi l’anno scorso?” E allora lui mi risponde: “Scrivevi dei post molto belli e piangevi ogni sera”.

Ho sorriso e mi sono girata dall’altra parte. Davanti a me ancora due ore di sonno.

 

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