29 June 2009

E così abbiamo comprato un biglietto per Tokyo.  In realtà, sarebbe più esatto dire, mi ha comprato il biglietto per Tokyo. Rimborsabile in comode rate mensili. Due biglietti per Tokyo. Napoli-Tokyo Narita. Per l’emozione dopo non sono nemmeno riuscita ad andare in palestra. Se mi avesse chiesto di sposarlo con tanto di trilogy non sarei stata così emozionata.

Avevo tipo 9 o 10 ani quando attaccai a un cassetto una spettrale cartolina dei grattacieli di Tokyo mandatami da mio padre. Non si vedeva nient’altro che un’infinita distesa di palazzoni in una plumbea luce crepuscolare con un’antenna di lucine rosse che svettava in un angolo. Potevo stare ore seduta sul pavimento a gambe incrociate a guardare quella desolazione metropolitana di finestrelle illuminate.

Il Giappone. Immaginario giapponese di manga anni 80. Le metropolitane velocissime, le palle di riso bianche e nere, le scolarette in uniforme, i bambini dell’asilo col caschetto giallo, la fioritura dei ciliegi, le terme con le scimmie, il Fuijama che assomiglia al Vesuvio.

Il Giappone. Immaginario giapponese di cataloghi Benetton anni 90.  Adolescenti vestite da cameriere,  ristoranti col cibo finto in vetrina,  fai di me la tua geisha, le infradito con la palafitta di legno sotto.

E poi un anno fa , un giorno per caso, arrivò Aruki Murakami.  Personaggi solitari e arrendevoli, che stappano una lattina a ogni pagina e passano la maggior parte del tempo in cucina. Tutti i libri di Murakami in un inverno e le atmosfere di una Tokyo rarefatta e di un Giappone abitato da mostri tristi e sottomessi.

Gli hikikomori.  Merincontraria e io  perse nell’estetica dei disturbi comportamentali giapponesi.  Che sognavamo il nostro viaggio in giappone, che progettavamo un salvadanaio mai inziato.

Ora ci vado, senza di lei. E un po’ lo sento come un tradimento, ma era il qui e ora da afferrare subito, l’offerta scade domani e dietro le finestrelle illuminate degli sterminati casermoni ci sono ancora pochi posti disponibili…
Giappone…