Viaggio in Giappone-Asaksa e Shinjuku-Terzo Giorno

22 August 2009

Oggi a Tokyo fa un po’ caldo, non tantissimo e insopportabile come ci avevano detto, ma un po’ sì. I giapponesi estraggono dalle borse piccoli asciugamani e si tamponano graziosamente il viso. In mattina si visita il quartiere di Asaksa e il Sensi-ji, il tempio più famoso di Kyoto.  Dobbiamo cambiare treno alla stazione di Ueno, una stazione enorme dove le travi basse del soffitto sono ricoperte di gommapiuma per non farti pigliare i capoccioni. La metropolitana scorre veloce e tranquilla, a mezzogiorno, nonostante siano le vacanze estive, ci sono solo signore anziane e qualche ragazza. Arriviamo al tempio: la via per arrivarci tra due file inesauribili di souvenir giapponesi: lanterne di carta, ventagli con gli idoli nippo-pop del momento, portachiavi tintinnanti, dolci al the verde, statuette degli dei della fortuna. Arrivati al tempio posso fare finalmente quello che faceva sempre Sailor Mars: scuoto la scatola dei bastoncini, apro il cassetto con il numero corrispondente e scopro il biglietto della mia fortuna: “a small fortune”, mi dice, a ogni tua azione corrisponde una reazione, se ti comporterai bene, sarai fortunato. Manco Gennaro d’Auria poteva darmi divinazione migliore. In ogni caso, rinuncio a intascarmi il biglietto in giapponese antico e lo annodo allo stendino dove lo appendono tutti. Prima di entrare nel tempio mi sciacquo le mani con il mestolo attorno alla fontana, mi cospargo del fumo del braciere, lancio la monetina di offerta, suono due volte le mani, ed eccoci nel tempio. Fiori, candele, rotoli in caratteri kanji.  Ma i preparativi sono più belli del tempio stesso. Compro un talismano della felicità e via..
Ritorniamo sulla strada dei negozi: in un negozio di kimono usati proviamo e riproviamo le vestagliette usate dai bambini come copri-kimono, con la signora giapponese tenutaria del negozio che continua a farmi lunghi discorsi in giapponese, nonostante io le abbia detto che “i can’t understand japanese”. Nonostante ciò mi sembra comunque di capire tutto e annuisco. Ci compriamo due vestagliette con le carpe e, dopo esserci salutati e inchinati per circa trenta volte, eccoci fuori. E’ ora di cercare un posto dove mangiare. Dopo un giorno di “sushi, sashimi, onigiri, ma poi a finale, che ti magni? “ sento di aver bisogno di carboidrati? Noodles, soba, ramen. Troviamo un ristorantino di ramen, ed eccoci dentro. La temperatura sfiora i 5 gradi: scegliamo e arrivano i nostri ramen. Una zuppiera con un brodo marrone dentro al quale galleggiano i ramen. Per aiutare l’operazione di risucchio del brodo ti portano anche un bel mestolino.
Non sono tanto male, anche se sanno di poco. Dopo circa quaranta minuti, tra bacchette e mestolino, riesco a scolarmi tutta la zuppiera. Vado in bagno e finalmente, eccolo che lo trovo: il mitico cesso giapponse con la pulsantiera che ti fa il bidet da sola e mette la musichetta per coprire gli odori. Passo circa venti minuti là dentro a provare tutti i tipi di bidet e musichette ammanco a caso i pulsanti della tastiera e penso di proporre alla Panasonic ( la ditta produttrice) un modello che ti mette davanti un e-book a scelta (ma forse già c’è).
Pieni di sacch’etti torniamo in albergo per riposino. Alle sette eccoci di nuovo in strada, che si fa?  “Okonomyaky?” –chiede Hire, offrendoci contemporaneamente una fragola avvolta nella cioccolata bianca, “vada per l’okonomyaky.  Scendiamo alla stazione di Shinijuku insieme a circa altri due milioni di persone e cercando di seguire Hide che sguscia tra la folla raggiungiamo il ristorante. Ma prima convinco il riluttante Hide a fare un passeggiata veloce a Kabuki-Choo, il quartiere a luci rosse di Tokyo.  Forse è un po’ come chiedere a un napoletano a portarti a fare il puttan tour sulla domiziana mentre lui ti vorrebbe portare a Piazza Plebiscito. Comprensibile. In ogni caso, veloce tour di Kabuchi-Choo tra ragazzi coi colpi di sole fissi in mezzo alla strada non si capisce bene a far cosa, manga shops specializzati in soft-porno e lampeggiamenti da epilessia. Andiamo a mangiare l’ozonomyaky. Il posto è la quintessenza della giapponesità. Saletta con il tatami a terra dove si tolgono prima le scarpe e tavolini dove sedersi a terra. Al centro del tavolo c’è una piastra riscaldata dove far cuocere il cibo che verrà servito. Infatti ci arrivano queste scodelle di roba mischiata dentro, tipo impasto della frittata che bisogna buttare al centro della piastra. Armati di palette ognuno ci cucina la sua pappa, cercando di combinare meno danni possibili.  Il fatto è che una volta buttata sulla piastra non è che la roba cambi molto consistenza.  Non è male come sapore, ma visivamente ricorda molto da vicino il vomito. La diversa tipologia di frittatina che invece ha ordinato Hide ha proprio una consistenza invitante, solo che all’assaggio ha un sapore che è una strana via di mezzo tra una crostata di mele e un sashimi di tonno.  In ogni caso la birra, tra il calore della piastra e il sapore agro-dolce del cibo, va giù che è una meraviglia.
E ora, come si prosegue la serata? Io ho una sola ide: Karaoke! E Karaoke sia. Hide ci conduce in quello che da fuori sembra un albergo, con una schiera di portiere in livrea bianca e uno scintillante arredamento stile antico impero romano. Concordiamo un’ora e ci assegnano la stanza: la numero 902.  Il palazzo ha 15 piani, come vedremo nell’ascensore. Praticamente, questo palazzo ha 1500 stanzette in cui fare karaoke. Una stanzetta per il karaoke è composta da un divanetto, un tavolino e l’impianto karaoke. Alle parete quadri psichedelici dipinti da un reduce di woodstock che non è mai tornato dall’acido che si era fatto. Le canzoni si scelgono da un touch screen. A disposizione del gruppo ci sono due microfoni.  Hide parte subito con una canzone giapponese: a ogni canzone è abbinato un video di chiara matrice neomelodica dove in genere ci sono due innamorati che si rincorrono sulla spiaggia o passeggiano mano nella mano in boulevard di palme.. L’attore è sempre lo stesso, un giapponese dalla pelle scura e i capelli tinti di biondo. Evidentemente l’incarnazione di Mirko. Noi femmine siamo evidentemente tre campane, i ragazzi sono convintissimi e bravissimi. La cosa che mi mi colpisce sono comunque le persone che vedo andare a fare il karaoke da soli.
Prendiamo uno degli ultimi treni, quelli intorno a mezzanotte, affollato di salary men che tornano a casa dopo aver probabilmente fatto gli straordinari sul lavoro ed essere andati a bere con i colleghi. Eccoli qua, con la loro camicia bianca un po’ sgualcita e gli occhi rossi dalla stanchezza che tornano alle loro case in chissà quale periferia. Domani mattina si alzeranno presto, molte ditte lavorano anche il sabato, da queste parti…

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