Viaggio in Giappone: i department stores-Quarto giorno.

23 August 2009

Il quarto giorno decidiamo (decido) che è tempo di dedicarsi alla ricognizione e allo studio dei department stores di Tokyo. Quelli con le cose che vedi su geek blog e quelli che al posto di Stradivarius e H&M hanno Prada e Fendi. Si comincia a Ikebukuro, da Seibu, quelli che per lungo tempo sono stati considerati i più grandi magazzini del mondo, ma a dire la verità non è che mi entusiasmino granchè, molto europei. Decidiamo di spostarci a Sunshine City, che in questo momento pare vada per la maggiore e d’istinto entriamo da Tokyo Hands. E’ il delirio: il primo piano è tutto dedicato a quello che potrebbe essere definito “azzeccamenti giapponesi”. Si comincia con tutto ciò che è collegabile alla presa USB: lanciafiamme in miniatura, modelli di elicotterini, omini che fanno gli addominali, penne usb a forma di pezzi di sushi. E poi: piste di trenini elettrici, costumi da scolaretta, da cameriera sexy, da pallavolista. Hello Hitty Punk, caricica-batterie ad energia solare per il cellulare. Macchinette per tenere il sorriso ben aperto. Massaggiatori per spalle, piedi, collo. Formine di hello kitty per fare le palle di riso a forma di Hello Hitty, formine fare i toast a forma di Hello Kitty, formine per fare i cubetti di ghiaccio a forma di hello kitty. Sento che mi sta per venire una crisi epilettica, Usciamo dal piano con un paio di improbabili penne usb e un costume da scolaretta che domani indosserò a Harajiku (dove c’è il raduno settimanale dei cosplayer). Continuiamo a salire: via facendo Alberto andrà in escandescenze e finirà per comprarsi un coso che a me pare il modem Alice Casa ma invece si rileverà un strumento musicale ad onde che si suona passando le mani sopra le antenne. Dice che è lo strumento preferito dai Subsonica. Sarà. A me pare una soggettata assoluta. Ma mai come quella che ci aspetta all’ultimo piano dove troviamo il famoso Nekobukuro, una parte dove entri e puoi accarezzare i gatti. Cioè, noi abbiamo pagato mille yen in due, poco meno di dieci euro, per metterci a pazziare con dei poveri gatti torturati da bambini giapponesi che li acchiappano di peso per farsi le foto con le dita a v abbracciati a loro.
Fuggiamo via. Incontriamo Valentina, visibilmente triste per il suo penultimo giorno a Tokyo, e andiamo a mangiare noodles. Io prendo noodles e pollo, sempre nel tentativo di superare le 500 calorie giornaliere necessarie per la sopravvivenza, Alberto,oramai diffidente verso ogni tipo di condimento prende noodles assoluti da condire a parte con salsa di soia. A me vengono serviti nella solita zuppiera. A lui in una specie di casetti di legno impilati uno sull’alto, quando finisci uno passi al secondo sotto. Praticamente pasta scolata male. E servita fredda. A lui piace assai perché gli ricorda la pasta che si cucinava da piccolo. A me non sono. Il pomeriggio prosegue verso Ginza, il quartiere elegante di Tokyo, dove vaghiamo tra Chanel, Prada, Gucci, Louis Vuitton. A vagare così tra elegantissime giapponesine e commesse che si inchinano al nostro passaggio, noi, con le nostre scarpe da ginnastica e l’aria da turisti stanchi, ci sentiamo un po’ fuori luogo. Stanchi da troppe luci e impulsi e acquisti torniamo in albergo per renderci conto della cifra folle spesa in tre giorni. Ma va beh…Per la serata indosso il coprikimono comprato ad Asakusa, sarebbe una specie di tunichetta che i bambini maschi indossa sopra al kimono. Io l’ho messo senza niente sotto abbinato ai leggins, annodato con un doppio fiocco di mia invenzione. Ho la sensazione di essere tipo  un giapponese che gira per Roma vestito da centurione e qualche sguardo curioso lo ricevo, ma mi piace tanto come mi sta! Serata tranquilla a Ebisu, quartiere residenziale più discreto e raffinato, senza banneroni colorati.  Dicono sia il quartiere dove abita il primo ministro giapponese.   p

Scegliamo un locale fra i tanti, che ci fa accomodare in una stanzetta a noi riservata, un quadrato nero coi divanetti rossi, chiuso da una porta dove il cameriere entra prima di bussare e un campanello per chiamarlo.  Mangiamo spiedini di carne, crocchette di riso, tofu e verdure violette. Anche qui via a prendere l’ultimo treno e la serata si conclude con un Hagen-Daz alla vaniglia comprato al Family Mart sotto l’albergo.

Note tecniche
La cosa che adoro del giappone è che i camerieri e i locali in genere sono efficientissimi. Basta chiamare “surimasen” e in un attimo un cameriere è vicino al vostro tavolo. Tra l’ordinazione e l’arrivo della portata non passano mai più di dieci minuti, e per avere il conto non c’è bisogno di attese interminabili.  E poi c’è un infinita di scelta, locali a ogni passo, e ovunque la possibilità di mangiare in un ambiente piacevole a poco prezzo, raramente più del corrispettivo di una decina di euro.
Le macchine sporche o ammaccate in Giappone non esistono. Ma quelli che sono più tirati a lucido sono i camion. Brillantissimi, di alluminio splendente, tutti come appena usciti dalla fabbrica.

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