Granada: la procesione dei gitani

1 April 2010

Le processioni sono state importante dalla Spagna in penisola sorrentina intorno al 1500. E, come sospettavo, il modo migliore di preservare una tradizione, è importarla in un ambiente piccolo e chiuso.
Le processioni della Settimana Santa così come le conosco sono silenziose, ordinate, incutono timore e inducono al raccoglimento.
Le processioni a Granada hanno gli stessi vestiti e gli stessi cappucci ma sono chiassose, rumorose, la banda suona le canzoni di Micheal Jackson, la gente si mischia tra gli incappucciati e gli incappucciati ogni tanto posano il lampione ed entrano nel bar a farsi un birra.


Poi soprattutto sono tante, tantissime, a tutte le ore, dalla domenica delle palme a Pasqua e lunghissime, roba di tre-quattro-cinque-sei-sette ore. E, se vogliamo continuare con le similitudine festose, assomigliano di più ai gigli di Nola che alle processioni.
Ci stanno queste statue enormi, più chiatte che alte con Gesù e la Madonna. Ma roba pesantissima. Sotto a portarle ci sono squadre di trenta-quaranta persone che però non vedono niente, stanno là sotto con i lati della base coperti da velluti e stoffe. Stanno tutti in fila con i cuscini sulle spalle, un tipo bussa alla base della statua e dice quando devono camminare a quando fermarsi. La banda dà il ritmo con i più grandi successi peace and love di tutti i tempi.

I momenti clou della processione sono quando la statua sta ferma, poi il masto di festa da il la e la statua si solleva ballando e tutta la gente schiocca l’applauso e comincia ad urlare appresso alla Madonna “hola guapa!”.
Più o meno questo è il canovaccio di tutte le processioni. Ieri c’era quella dei gitani. Che sono gli zingari che stanno a Granada, però stanziali. La loro processione parte dal centro di Granada e sale fino al Sacromonte, la collina dove abitano in case ricavate da grotte di argilla e terriccio.
La processione esce alle cinque e mezza del pomeriggio e l’arrivo a Sacromonte è previsto per le quattro del mattino.
Noi usciamo verso le 11 di sera, direzione Albayzin, il quartiere arabo di Granada da dove parte la strada che sale fino al Sacromonte. Lungo la strada banchetti di zingari vendono panini con la salsiccia, birre, mojiti e rum e cola. Vengo colta all’irrefrenabile impulso di bermi un mojto guardando la processione e urlando Hola Guapo appresso a Gesù.
Per densità di gente incastrata nei vicoli sembra di stare alla Notte Bianca a Napoli prima edizione. Per la quantità di canne che girano sembra la Festa della Regina ad Amsterdam. Punkabestia italiani squagliano il fumo affianco di distinte signore granadine. Tutto intorno è uno sciame di ragazzini gitani. Le ragazzine gitane sono un misto tra una vrenzola napoletana di quartiere e ballerine di un video di Jennifer Lopez. Le ho viste arrampicarsi su tetti alti tre-quattro metri per guardare la processione dall’altro e poi farsi calare di nuovo giù da ragazzini con mecche bionde tendenti al rossiccio mentre altri da giù la afferravano per le caviglie.
Tutti hanno in mano minimo minimo una birra. Troviamo la nostra prima postazione su una collinetta di terriccio sbricioloso che minaccia di franare ad ogni momento tra sospetti rivoli di liquidi che scendono a valle. Tutta questa birra da qualche parte dovrà andar pur a finire. Arrivano Gesù e la Madonna ed è tutto un coro di fischi, “hola guapo” e “viva el Cristo de Los Gitanos, viva viva!”
Ogni tanto uno shshshsh corre tra la gente, cala il silenzio e si alza il canto di un gitano, da un balcone, da un pezzo di terrra, da un punto indefinito dalla folla. E’ un attimo e la malinconia cala sui rum e cola. Ma è un niente, la banda riprende la marcetta e avanti con un’altra birra.
Saliamo fino vetta di Sacromonte, dove c’è il monastero per vedere l’ingresso delle statue in chiesa. Altezza sul mare: 800 metri. Clima continentale. Temperatura percepita 0. Temperatura reale -2. Io col trench e le converse.
Non ho freddo. Ho la stessa sensazione di quando una volta in Finlandia uscii senza guanti e capii che alle mie dita restavano cinque minuti di autonomia prima della necrosi.
Nell’attesa delle statue raccogliamo ramoscelli di frasche e accendiamo un fuoco come quelli che si accendono le puttane ai bordi della domiziana e ci stringiamo là attorno. Immagino di essere Vladimir Luxuria protagonista di una puntata speciale dell’Isola dei Famosi ambiente a Montevergine. Ormai si sono fatte le cinque, la luna splende dietro l’Alhambra e l’alba sembra ancora molto lontana.
Arrivano le statue ma, nessuno ha il coraggio di staccarsi dal fuoco. Restiamo là da lontano a guardare il balletto di avvicinamento tra Gesù e la Madonna. Dopo un quarto d’ora buono le statue sono dentro. Di corsa arrivano quelli della banda, nelle loro giacchette leggere, a chiedere al fuoco salvezza per le loro mani.
Volentieri gli lasciamo il fuoco, noi torniamo a valle. Quattro chilometri sotto la luna piena.

La strada sembra reduce da un rave o da un concerto di Vasco Rossi negli anni 80.
Arriviamo a casa alle sei e mezza ed è ancora buoio pesto.

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