Il senso per le luci di Natale

4 December 2010

“Natale senza regali non sembrerà Natale” brontolò Jo sdraiata sul tappetto.
(Questo è l’incipit di Piccole Donne, signori maschi)
“Natale senza luci non sembra Natale” mi dico avviandomi al teatro Bellini in una Napoli dove il primo strato della munnezza ormai si è fuso con l’asfalto creando un nuovo tipo di pavimentazione morbido e scivoloso, dove piove da quando si poteva parcheggiare a Piazza Plebiscito e dove per le strade non c’è neanche un’illuminazione di Natale. Solo qualche Babbo Natale impiccato ai balconi che la pioggia e lo smog hanno reso grigio e triste. Ancora più triste di quando era nuovo, se possibile.
Triste quasi quanto i pakistani che dalla fine di novembre vendono i cerchietti con le corna di renne e i babbi natali sulle molle su e giù per i Decumani. Che io vorrei dire. Babbo Natale e le renne a Napoli non ci appizzanno niente, Napoli è una città da Gesù Bambino con il bue e l’asinello, di bancarelle di frutta e pesce, delle strade che alle 3 del pomeriggio della giù si svuotano perché alle  4 già si butta la pasta per lo spaghetto con le vongole. Natale a Napoli è nu fatto triste e malinconico, come gli zampognari quando comincia a fare buio, dove nessuno si aspetta distese illuminate di luminarie e megafoni per strada che cantano Jingle Bells, ma un filo di lampadine teso da due balconi che renda  questa malinconia più struggente.
Fatto sta che io al teatro non è che sto andando a vedermi Natale in Casa Cupiello, no, ho un posto sul palchetto di velluto rosso per lo Schiaccianoci, nell’allestimento del Balletto Nazionale di Mosca. Roba seria signori. Scenografie con alberi di Natale Immensi. Strati e strati di velo e coroncine. Il rumore delle scarpette sul legno del palco. Un’opulenza di nordico e iper-tradizionale spirito natalizio. (il mio immaginario da bambina, gli inverni delle favole dove si visse insieme senza saperlo).
Mi hanno raccomandato di tenermi stretta la borsa all’uscita, che non è una zona tranquilla. La tengo stretta e cammino veloce. E come ogni volta mi dico che la prossima volta devo ricordarmi di mettere le scarpe da ginnastica. Che anche gli stivali bassi su questo asfalto sono scomodi. Ecco il termine, Napoli è una città scomoda. Non hai mai la sensazione di star bello, tranquillo e rilassato. Pure se stai seduto ai tavolini della Caffetteria di Piazza dei Martiri. C’è sempre qualcosa che ti fa tenere almeno un recettore all’erta.
Anche il traghetto che da Napoli porta a Capri è più scomodo. Appena ci salgo mi viene da chiedere “Scusate, ma questa è la nave che va a Tirana?” Non ci sono poltroncine, ma file di sedie come quelle delle sale d’attesa degli aeroporti che un tempo erano color Tiffany e ora sono color poltrona del dentista che giace da tre settimane vicino al cassonetto della spazzatura. Alcune sono spaccate ed esce tutta la gommapiuma. Di moquette sporche come quella che sta a terra ne ho viste solo nelle sedi dei sindacati tra il porto e piazza mercato.
Ci metterò un’ora e trenta per arrivare. A Capri hanno illuminato anche il molo del Porto, anche il faretto appena arrivi, da lontano vedi la cupola della chiesa ricoperta di lucine azzurre. L’isola sbrilluccica di blu. Ho il dubbio che abbiano messo file di lampadine blu anche attorno ai Faraglioni, ma pare di no.
(Anche il mio monolocale è tutto blu, forse un po’ troppo e sto con la palette di colori in mano a decidere quale colore caldo abbinarci).
Io sinceramente per le luci di Natale preferisco il giallo. Quando la sera torna a Sorrento, col traghetto bello comodo con i poggiatesta, Piazza Tasso mi accoglie in un tripudio di “giallo luce di Natale”: un albero immenso, tappeti di luce, palazzi interi ricoperti di lampadine. Ah, ora sì. Adesso è Natale. D’altra pare sono a casa

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