Non si vive neppure una volta

28 May 2011

E’ un pomeriggio di novembre, seconda metà degli anni ’80. Vado alle elementari e come al solito ancora non ho fatto i compiti, come al solito. Sul tavolo di formica sono aperti i libri e i quaderni. Fuori alle tendine leggere, nel vialetto d’ingresso triste su cui affacciava il balcone della cucina, è già calata la notte. Da piccolo televisore parte la sigla del’Almanacco del Giorno Dopo. Domani avvenne. Papapapapapapa. Ed eccola. L’angoscia di tutti i tardi pomeriggi che verranno comincia a pesare sulle tempie sfilacciandosi tra il sole sorge alle 07.36 e tramonta alle 18.16.

E’ una mattina di fine maggio. Gironzolo tra i banchetti della Feltrinelli di Piazza Garibaldi in cerca di un libro per un viaggio di treno. Ne apro uno a caso e ci leggo della malinconia che prende il protagonista del libro nell’ora tra il pomeriggio e la sera quando gli sembra di sentire ancora la sigla d’inizio dell’Almanacco del Giorno Dopo.

Anche Alberto mi raccontava sempre di questa cosa dell’almanacco del giorno dopo nella televisione in cucina e tu che ancora non hai fatto i compiti e fuori è buio.

Forse tutti i bambini tra gli settanta e ottanta hanno imparato a conoscere l’angoscia con la sigla dell’almanacco del giorno dopo.

Il libro l’ho comprato, ovviamente. Però all’andata ero troppo allegra per leggerlo e lo so che poi quando leggo un libro che mi piace poi divento pensierosa e non volevo diventare pensierosa.  L’ho cominciato a leggere la sera al ritorno in albergo, prima di andare a dormire (e dalla tromba dell’ascensore lenta saliva la solitudine delle stanze d’albergo quando sei da sola). L’ho finito scendendo in treno da Firenze (tra i pensieri degli Eurostar di ogni ritorno) e in una Vesuviana stranamente vuota (che poi capita sempre che arrivo alle ultime pagine che sono quasi a Meta e mi arrabbio perché vorrei ancora dieci minuti di treno e invece devo scendere e lasciare le ultime pagine in sospeso e dopo 3 ore di lettura sono intontita e incantata e vorrei una mezz’ora di spacco dopo la fine di un libro e invece ora torno a casa e dovrò parlare almeno dieci minuti con mia mamma. E allora sai che faccio, scendo dal treno, mi siedo su una panchina, finisco il libro e poi resto a guardare dieci minuti buoni il sole giallo ed esausto).

Beh, cmq la puntata che lo scrittore cita (che poi è Francesco Piccolo, quello di Trascurabili momenti di felicità) si chiudeva con una frase devastante: “non si vive neppure una volta”.  Che qualcuno ha citato qualche giorno fa su FB ma non potrò mai sapere più chi e in che contesto perché è già sparita come una goccia nel diluvio informativo.

Non si vive neppure una volta.  Mi vado a cercare una puntata del’almanacco del giorno dopo su you tube e scopra che quello che lui cita in tutto i libro è la puntata del 3 luglio 1980. Domani avvenne che io nacqui.

Io non credo a niente, ma alle coincidenze ci credo.

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