Piccolo post delle terre di mezzo

26 July 2011

Da che dipende il fatto che ci siano dei periodi in cui mi viene in mente un post al giorno e altri che non non me ne vengono per ventine e trentine di giorni interi?  Ero convinta che dipendesse dal fatto di essere o meno pendolare, ma in questo periodo continuo a vagare su e giù tra aliscafi e funicolari e nonostante ciò mi sento la mente vacua.

Forse dovrei cambiare musica dell’iphone. La dovrei finire  di sentire tutti i giorni la stessa gente scavata da terra.  Fare come la mia collega che non mette canzoni più vecchie di 5 anni per tenere l’orecchio allenato alle cose nuove. Ma io ho l’orecchio assai pigro. Non per niente mi hanno scacciato da tutti i cori da dove mi potevano scacciare. Quello della processione e quello della recita di Natale a scuola dove tutti i bambini cantavano in coro “in the world, make a better place, for you and for me nanananana”.  Per tipo una settimana ho avuto la costanza di ascoltare ogni mattina un podcast con in inglese to improve my english. Ma poi mi sono sfastiriata e in Olanda comunque ho cominciato a mettere un dito sul menù per indicare al cameriere quello che volevo.  Mi imbarazzava il loro sguardo interrogativo quando pronunciavo “praws”.

In realtà ad Amsterdam subito mi davano tutti a parlare in olandese e il fatto che sembrassi olandese me l’ha fatto credere non poco.  Solo che dopo aver detto “i don’t speak dutch” mi vergognavo come a che sfoggiare un inglese approssimativo anziché no.

Ad Amsterdam  ci sono arrivata che pioveva e faceva freddo, col pantaloncino troppo corto e le ballerine, ancora un po’ ubriaca del matrimonio del giorno prima dove ci stava l’open bar, i pappagalli nel giardino e Maracaibo Mare Forza Nove (fuggire sì, ma dove?)

Subito alla stazione l’odore dello junk food dutch mi fa sentire a casa. Una casa che non è mai stata casa mia ma che tante volte spiato dalle vetrate dove si intravedono salotti di piccole e intime felicità domestiche.  E poi mi ci sono messa io in quel salotto, coi fazzoletti sporchi del raffredore che mi è venuto a guardare i programmi della gente chiatta che fa la dieta e in sei settimane sembra che dimagrisce ma in realtà gli mettono solo un vestito meglio e lo portano dal parrucchiere.  Gli stessi che mi guardo in Italia.

In questa vacanza ad Amsterdam non ho mai mangiato un crocchè di Febo e non sono andata manco una volta all’indonesiano. In compenso ho fatto il check-in al Museo di Van Gogh,  alla casa di Anna Frank e alla fabbrica dell’Heineken. Son cose.

La cose più bella di un viaggio è sempre quando prendi familiarità con un posto e cominci a scendere e salire con disinvoltura dai mezzi pubblici e a camminare con passo spedito, senza fermarti con lo sguardo perso nel vuoto davanti alla cartina e a fare domande ai controllori.

Quando ingrani il percorso automatico e cominci a farlo con le cuffiette nelle orecchie, solo tu la sera per tornare a casa.

Ma casa mia non sta lungo il canale. Qua ce la facciamo per acque ben più agitate dei placidi canali.

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