Il giorno prima di partire

11 March 2012

Se mi chiedono “cosa ti piace?”, d’istinto non rispondo mai “viaggiare”. Viaggiare mi metto in un lieve stato di ansia.  Nei lunghi corridoi degli aeroporti sto sempre a controllare nevroticamente di non avere perso il portafogli, i documenti, la carta d’imbarco. Mi mettono ansia le file al gate dei voli low cost quando una hostess che sembra una squadrista delle SS seleziona trolley troppo panciuti che visibilmente non potranno mai entrare in quello stendino ridicolo (dove per dire, manco la mia borsa da giorno entra). Mi mette ansia avere una pronuncia inglese ridicola. E poi io sono una che non prende i treni regionali, che non dorme negli ostelli, che non ha un bicchiere di metallo come invece ce l’hanno tutti i miei amici del trekking della domenica. (Se per questo non ho neanche un pantalone da trekking e vado a fare le escursioni col jeans della Lui-Jo. Per dire).

Però viaggio. Abbastanza. Diciamo tipo quanto la gente che si dichiara “grande appassionata di viaggi”. Forse pure un po’ di più. E’ l’idea di andare che a vedere che luce c’è in un posto che mi chiama. Che colore hanno le luci delle case degli altri. Che silenzio ha un tramonto dall’altra parte. Cosa dicono in quella parte del mondo le speranze che scendono con la sera. Non la metodica lista della Cose da Fare e da Vedere. Non i musei. Non i monumenti (ma questo già l’ho scritto)  Domani parto. Per un viaggio serio. Di quelli che poi ti ricordi per tutta la vita. California, due settimane, cinque di noi che lavoriamo assieme. Arriviamo a San Francisco, 5 giorni in un hotel ad ambientazione manga, tappa nella Silicon Valley per farci le foto con le dita a V davanti a Google e postarle su Facebook,  poi ci mettiamo su un Suv gigantesco per scendere lungo la costa, fermarci a Santa Barbara che chissà se è lo stesso paese della telenovela, risalire verso Las Vegas, affacciarsi al Grand Canyon, attraversare la Death Valley, onorare le sequoie di mille anni e tornare a casa.

La valigia ancora la devo fare, ma la Lonely Planet ha già tutti i post- it segnaposto e il computer sta finendo di scaricare l’ottava seria di Grey’s Anatomy per l’aereo. L’altro ieri sono andata dell’estetista. Ieri dal parrucchiere e dal dentista. Ho capelli e denti californiani ora. Mi manca solo la lampada. Perchè, sapete, la mia principale preoccupazione prima di partire, (dopo aver telefonato tipo 212 volte in questura per chiedere se il mio passaporto sicuro era valido), è sempre quella di essere nella forma migliore per le foto.  Perché poi le foto del viaggio sono quelle che ti rimangono per tutta la vita. Non è che puoi partire con le sopracciglia selvagge e tre centimetri di ricrescita, per dire. E quindi eccomi qua, in questa domenica mattina, col trolley rosa aperto davanti a decidere cosa mi devo portare. E rendermi conto che nel mio armadio non esiste neanche un pantalone che possa definire senza ombra di dubbio “comodo”. Che non sia il pantalone della tuta. Ma posso mai andarmene girando per la California con il pantalone della tuta addosso? (ma anche sì, direte voi, ma anche no, dico io).

It’s the edge of the world
And all of western civilization
The sun may rise in the East
At least it settles in the final location

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