Stockholm Calling

25 April 2012

Allora, il fatto è questo.  Sabato vado per la terza volta della mia vita a Stoccolma. Che andare a Stoccolma non è mica come andare a Londra. E se ci capiti per la terza volta te lo chiedi che legame ci sia tra te e questo posto. O che legame ci sarà. O anche “Ma che ci vai a fare a Stoccolma che mo’ sei tornata dall’America perché non te ne stai un poco a casa tua la vuoi finire di spendere tutti questi soldi devi cominciare a risparmiare ma poi non ci sei già stata a Stoccolma?” (ciao mamma, ciao zia, ciao cugina. Ehi, ci sei anche tu papà, ciao!). Beh, in ogni caso le prime due volte sono state tutte e due nel 2004, io ero a fare l’Erasmus ad Helsinki, e da lì, voi lo sapete, durante il weekend si portava molto andare in Svezia con la trombonave per bere un sacco di alcool comprato a poco prezzo al duty free sulla nave.

(Ve lo linko il post, ve lo linko: La Trombonave 4 marzo 2004)

La prima volta che sono andata a Stoccolma con la trombonave era con tutta la comitiva italo-spagnola-mediorientale dell’Erasmus. C’era pure Jaffa, il mio fidanzato dell’epoca. Mi ricordo che bevevamo certa vodka dolciastra sul ponte tra turbinelli di neve e tipo 20 gradi sottozero, c’era il karaoke finnico e pure Chi Vuol Esser Milionario Live. Condividevamo la cabina con 2 ragazze greche. Una delle due ragazze greche passò la notte a farsi a un americano con io nel letto a castello sopra. Io con l’asciugamano fredda in fronte tra sbornia e mal di mare. Bei momenti. Da non ripetere — che non tengo più 23 anni — eh. Capirete con che energia ed entusiasmo possa aver affrontato il giorno dopo la visita a Stoccolma. Di quella giornata a Stoccolma mi rimane solo una foto dove io ho i capelli di un improbabile biondo metalizzato e sembro davvero molto giovane. Ho la stessa frangetta corta che ho sul passaporto. Che però mi ostino a considerare davvero carina. (Ma i progressi della consapevolezza si notano dal fatto che non me la taglio mica più la frangetta come una “ragazza che si sente speciale dopo aver visto il Fantastico Mondo di Amelìe”).

La seconda volta che sono andata a Stoccolma ci sono andata sempre con la trombonave, ma solo io.
[ok, rivedendo le date mi rendo conto che questa era la prima e quella che stava prima era la seconda, ma fa uguale]

Questa cosa non la scrissi sul blog perché se mia mamma sapeva che mi ero presa una trombonave solo io da Helsinki a Stoccolma per poi salire in un treno per Uppsala e andare a trovare un gruppo di Erasmus canadesi con cui avevo fatto amicizia, moriva. (Ciao mamma, ti giuro che non lo faccio più).  Per risparmiare non presi la cabina e vagai solo io per tutta la notte su questa nave scintillante fino a che mi sorprese un’alba metallica tra isolotti di ghiaccio. Uno di quelle albe metalliche come sanno esserlo solo certe albe di certi mattini d’inverno in Scandinavia, quando il sole sorge tardi o fa finta di sorgere, ma si limitata a spandere una luce fredda sull’orizzonte. La nave attraversava queste isolette innevate sulle quali, sotto metri e metri di neve, si indovinavano chalet di legno e bucoliche felicità estive. I miei ricordi di Stoccolma sono legati essenzialmente alla passeggiata che mi feci da sola per il vicoli della città vecchia prima di prendere il treno per Uppsala (la pace di una chiesa protestante, il palazzo reale, una piazza con certe sculture moderne.

Prendo lo scaletto, apro lo scatolone sotto l’armadio e pesco la smemoranda nera di quell’anno:

Era il 5 febbraio 2004

“Eccomi qua, imbarcata per la Svezia, da sola e senza la minima idea di cosa fare fino a domani mattina alle 9.30. In fondo il senso del viaggio.  Mi vivo questa cosa e mi immagino già che sarà quelle cose che poi si raccontano: “quando quella volta passai una notte da sola tra finlandesi ubriachi su una nave rompighiaccio”.

07.00 del mattino Notte insonne, ovvio, ma ce l’ho quasi fatta. Comincia lentamente a fare giorno e come in un’allucinazione appaiono le prime isole su un mare ancora nero con pezzi di ghiaccio portati via dalla corrente. Luce azzurrina, ghiaccio, isole con i fari. Esco sul ponte, ci saranno -20, il mare ghiacciato intorno, isole come miraggi. L’alba della vita.

Era il 07 febbraio 2004 

Nel ritaglio di una finestra affacciata su questo bosco da qualche parte della Svezia seguo con lo sguardo una bicicletta che scivola via sulla neve. L’adolescenza che pedala via. Seduta sulla sedia di un’altra cucina, a immaginare un’altra vita, a sentire un certo pungolo di struggimento, la mancanza di un abbraccio familiare, di una lingua familiare. Sfoglio un giornale svedese e cerco di risalire al significato delle parole. (Mi rendo conto di avere codici linguistici che mi permettono di intuire il senso di certe parole, cosa che mi manca completamente con il finlandese. D’altra parte lo svedese è pure sempre una lingua indoeuropea. Il finlandese fa parte di tutto un altro fatto…)

Stamattina camminavo nel cimitero di Uppsala, stando attenta non sciupare con impronte troppo pesanti la perfezione della neve e immaginavo a come può essere sentirsi di casa qui, a provare confidenza con questi lumini nella neve. Sola in un posto dove niente e nessuno ti collega al tuo mondo, come prendersi un weekend di pausa dalla propria vita. Ma poi mi rendo conto che sono sempre io che cammino per questo cimitero innevato in mezzo al bosco, e pause dalla vita non se ne possono prendere.

Intanto ascolto i Subsonica nella stanza piena di piante di uno svedese  e penso agli strani percorsi della vita, e penso a quanto tutto può essere tremendamente vicino e tremendamente lontano allo stesso tempo. E intanto mi assale il dubbio che gli svedesi la carta igienica non la buttino nel gabinetto ma nel cestino. Almeno a quanto mi è sembrano di capire da certi cartelli in bagno. E intanto continuo a incantarmi a guardare la neve dentro frenetici momenti di noia.

 

La terza volta che vado a Stoccolma ci vado con l’aereo, niente trombonave in partenza dal molo 8 di Marina Grande. Per carità. Lufthansa, manco Ryanair con partenza da Roma Ciampino. Cambio a Monaco, come da copione. Come da copione mi passerò un paio di ore bevendo caffè gratis e pensando che sarebbe bello una volta, almeno una, uscire fuori da questo aeroporto di Monaco e vedere se è una città all’altezza delle aspettative del suo aeroporto. Per due ore l’aeroporto di Monaco offrirà caffeina ad alimentare pensieri su quello che mi aspetta lassù in Scandinavia. Altre due ore e poi sarò a Stoccolma. E per la prima volta la Scandinavia mi vedrà senza giubbotto rosso e senza scarpe da trekking.

Ci sarà tempo poi, sul volo del ritorno, di interrogarsi sul perché sia capitata di nuovo a Stoccolma. Ci sarà tempo poi per decidere se dar senso o meno a queste coincidenze scandinave (come se già non lo sapessi). Ci sarà tempo per decidere se sono semplici coincidenze o intime affinità elettive (come se già non l’avessi deciso).  Ci sarà tempo per decidere se accendere la risposta giusta  (come se già  non lampeggiasse di un bel verde brillante). Ma intanto c’è tempo. E io intanto ora me ne andrei a vedere com’è questa Scandinavia senza neve. Dopo un inverno in cui ho visto Capri con la neve, dopo un altro inverno in cui ho visto Roma con la neve, ora voglio vedere com’è Stoccolma senza.

 

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