Una casa dove mettere i libri

16 May 2012

In quante case abbiamo abitato noi sui trenta e qualcosa?

Case di studenti con la stanza da condividere: con la coinquilina lucana che asciugava il lavandino ogni volta che apriva l’acqua, con quella calabrese che quando le veniva a trovare il ragazzo partiva dalle sei del mattino a cucinare, col coinquilino punkabestia che in un semestre non cambiava mai le lenzuola.

Case di Erasmus, pieni di accenti, gente, bottiglie vuote, posaceneri pieni. La coinquilina tedesca che mette il segno del pennarello sul livello del suo latte perché ha paura che gli lo rubiamo. Il vicino di casa canadese che ci bussa per farsi fare il caffè dalle napoletane. Stanze con le foto azzeccate con lo scotch a cercare di dare un’aria di casa.

Monolocali di lavoratrici precarie, col soppalco e il bagno con le macchie di muffa. Monocali che ci torni a casa la sera e sono freddi e silenziosi e la borsa che lasci cadere all’ingresso fa un tonfo sordo. Monolocali che un po’ si assomigliano tutti nelle loro suppellettili Ikea comprate di domenica per dare un’aria di casa.

Case da cui andare e venire col trolley carico, case che poi la casa dove tornare alla fine è sempre la casa di mamma, case in cui non abbiamo mai portato tutti i libri.

Case come stanze di hotel.

E così ho lasciato pure la casetta sull’Isola. E la mia vita tutta là. che entrava in un trolley rosa.

Su un foglio a righe ho una lista con tutte le cose che devo infilare nel trolley aperto sul pavimento. Ho vasi che sono stati riempiti di fiori. Ho una candela che non è mai stata accesa. Ho un piumino caldo e che mi ha scaldato da arrotolare e schiacciare per far andar via l’aria. Pluff, fa l’aria uscendo dalla busta per il sottovuoto.

Ho fodere di divani da togliere e portar via perché possono essere sempre riutilizzate. Fodere rosa a coprire l’azzurro di questa casa troppo azzurra. Dietro le trovo bagnate dell’umidità trasudata dal muro. L’umidità di quest’isola troppo azzurra. Svuoto i deumidificatori. Un liquido azzurro radioattivo cola giù per il lavandino.

Avvolgo foto e portafoto nella carta da giornale. Quella foto di io in barca che guardo il Faro e mi ricordo che pensavo che mi sarebbe piaciuto starmene un po’ sotto a quel Faro. (E l’ho stampata e incorniciata per ricordarmi che io pensavo che mi sarebbe piaciuto e dopo due mesi avevo una casetta che a quel Faro ci potevo arrivare a piedi a vedere il tramonto). Quella foto di noi tre su un canale di Venezia dove siamo più ragazzine di ora e sorridiamo. Quella foto di Ginza e il cielo violetto di Tokyo e quella io sul ponte di Osaka che è il ponte di Blade Runner. Io e la scimmietta di Gibilterra che ci facciamo le boccacce e lontano si indovina l’Africa al di là del mare Io seduta su un molo e il mare aperto davanti. Quanto mare.

Una volta che è tutto dentro la casa ritorna ad essere azzurra e sterile come quando sono arrivata. Questa casa non ha mai visto un bacio. Perciò è sempre stata così fredda e umida. E hai voglia di accendere stufette e impostare il condizionatore sui 28 gradi fissi.

Ma ora è tempo di andare altrove. Me lo faccio dire anche da Morgan mentre scatto una foto, lascio le chiavi sull’incerata a quadretti, trascino il trolley fuori e un ultimo sguardo commosso all’arredamento e chi si è visto si è visto.

Lascio che le cose mi portino altrove.

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