L’azzurro è il più crudele dei colori

30 September 2012

Nuotare nella Grotta Azzurra è come tante cose italiane. E’ vietato, ma lo fanno tutti. Basta conoscere l’ora e il momento giusto. Dopo le cinque di sera, quando la barca biglietteria leva l’ancora e torna al porto, quando i barcaioli mettono le barchette a remi in fila indiana e ritornano verso Marina Grande trainati da un gozzo.  Almeno un’ora prima del tramonto, altrimenti la luce è troppo debole e l’acqua non scintilla più di azzurro. Che sia una giornata calda, perché su quel versante dell’isola il sole va via presto, e bisogna asciugarsi all’ombra. E soprattutto che non ci sia il vento di maestrale  o il libeccio che fa alzare le onde che chiudono l’imbocco.

Alle cinque del pomeriggio di uno straordinariamente caldo 29 settembre c’è tutto. Andiamo. Basta proseguire sempre diritto per la strada di dove era casa mia e si arriva. Sempre diritto fino al mare, venti minuti a piedi, cinque di motorino. Si scende fino ad arrivare al limite della roccia, alla parete verticale e il mare blu scuro sotto. Questa è un’isola di separazioni nette, di qua c’è la roccia, aspra e affilata, di là c’è il mare scuro, a volte talmente scuro da sembrare nero. Niente costa che degrada dolcemente.

Molti definisco Capri l’isola della dolce vita, ma se la si conosce si capisce che in quest’isola di dolce non c’è niente. La bellezza qui è aspra, a volte quasi sfacciata. Ma mai dolce. E non ci sono posti dove immergersi lentamente nel mare. Anche e soprattutto qua alla Grotta Azzurra. Arrivi al limite della terra, poggi i vestiti su uno scoglio, appendi l’asciugamano a una sporgenza e ti tuffi. L’entrata nella grotta è bassa, prima di imbroccarla è meglio guardare in lontananza se non ci siano onde in arrivo, altrimenti si rischia di sbattere la testa.

Ma oggi il mare è calmo, una catena appesa alla roccia, quella che usano i barcaioli per darsi la spinta, segna il confine.  Il confine tra il blu e l’azzurro. Dentro ci vuole un po’ per abituare la vista, ma poi lentamente ti accorgi di stare nuotando in un acqua luminescente, di un azzurro fosforescente e trasparente. Abbbasso lo sguardo a guardarmi le gambe e sono argentate, argentate e lucciccanti come una sirena dimenticata da Ulisse e immaginata da uno scrittore di favole danese.

Intorno è tutto buio e la luce sale dal basso, dentro ci siamo solo noi. Silenzio buio e azzurro come quando qui nuotava Tiberio, l’imperatore in fuga dal chiasso Roma. Silenzio, luce e azzurro come quando qui nuotava Axel Munthe, il dottore in fuga dal buio dell’inverno svedese.

Sono nel ventre di Capri, il buio e la luce mi abbracciano, il mondo fuori è lì, oltre il buco d’entrata, oltre la catena, basta un’onda un po’ più alta e il mondo fuori non esiste più.

La bellezza di quest’isola è crudele. Ti inonda di luce, di una luce talmente accecante che quando si ritorna nel mondo bisogna stringere gli occhi. Axel Munthe tornò a morire a Stoccolma. Una malattia lo aveva reso quasi cieco, non poteva più sopportare la luce della sua casa piena di luce. Ora il mare è calmo e la giornata calda, basta un po’ di coraggio e una spinta con le braccia sulla catena per uscire dalla grotta.

Fuori fa freddo. E io domani torno a Stoccolma.

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