Perché voglio emigrare, perché voglio restare

3 March 2013

Lunedì pomeriggio, dopo le prime proiezioni le timeline di Facebook e Twitter erano pieno di “basta, emigriamo”, “andiamo a rinnovare il passaporto”, “appuntamento in aeroporto”.

Sabato eccoci qui tutti a condividere la foto della serata giusta nel posto giusto, col drink in mano, il sorriso all’obiettivo, ben vestiti e ben acconciati come tutti gli italiani sanno fare.

Memoria corta, attaccamento alle abitudini, bella facciata.

[Nei miei 719 amici su Facebook ne ho contati tre che hanno proclamato pubblicamente di votare a destra. Una sola che ha detto di aver votato Berlusconi]

Io  un biglietto per emigrare già ce l’ho. Eppure non emigro per la situazione politica, perché non ho lavoro, perché sono delusa dall’Italia.  Io in Italia in fondo non ci sto tanto male. Ho un bel lavoro, uno stipendio decente, un ufficio che in un luogo che secondo molti “è il posto più bello del mondo”. Sono una privilegiata. Il mio bar “dell’ufficio” è il bar della Piazzetta di Capri. In pausa pranzo faccio la passeggiata per andarmi ad affacciare sui Faraglioni. Di lavoro scrivo, scrivo di turismo e bellezza. Come posso pensare di andar via?

Eppure. Eppure pensiamoci. Guadagno più di mille euro. Pagate tutti i mesi, puntuali. Un stipendio ottimo da queste parti.

Eppure con il mio stipendio normale non potrei vivere da sola, autonomamente.

Non potrei fare il mutuo per una casa, non potrei avere un figlio. Al massimo potrei a stento vivere in affitto in un monolocale.

Con un po’ di sacrifici ci potrei aggiungere le rate di un auto. Ma probabilmente dovrei chiedere a papà un aiuto per  pagare l’assicurazione. Dovrei aspettare di incontrare qualcuno e poter unire con lui le forze per ambire a una casa più grande e la possibilità di fare  figli. E probabilmente ci vorrebbe sempre la firma dei genitori per poter avere un mutuo. E in ogni caso dovremmo sempre vivere vicino ai genitori perché: “Se lavoriamo tutti e due poi dove lo lasciamo?”

E la buona parte della mia generazione, rimasta qui al Sud, sta messa molto peggio di me. Un universo di trentenni che galleggia in un limbo di contratti a tempo, ritenute d’acconto, praticantati, finte partive iva, sostituzione maternità. Camerette da adolescenti a trent’anni anni, camere in affitto, appartamenti condivisi, case comprate dai genitori.

Un’intera generazione aggrappata al welfare familiare.

 [Eppure. Eppure a 32 anni viviamo con i nostri genitori ma non ci manco mai la 50 euro per andare a ballare il venerdì sera].

Ecco perché si va via. Non solo per lavoro, non solo per amore. E’ per provare ad avere una vita normale, dove ce la puoi fare da solo. La vita normale che i nostri genitori hanno avuto ma che noi da soli, non possiamo più avere.

Eppure. Eppure io non lascio il mio lavoro in Italia. E non per la paura di non trovare un altro. Il lavoro nel web si trova sempre. E non solo perché il mio lavoro mi piace. Di bei lavori nel web ce ne sono. E’ anche per una sorta di attaccamento e fiducia a un’azienda italiana che funziona, che mi permette di lavorare dal tavolo di una cucina in Svezia con Skype acceso. Che affaccia Golfo di Napoli ma che ha un prospettiva europea. Che fa cose belle, di cui essere orgogliosi. E allora penso che sia un po’ una sorte di mio dovere morale continuare a dare il mio (piccolo) contributo per un pezzettino dell’economia italiana che funziona bene. Perché penso di non avere chissà quale cervello per fare il cervello in fuga, ma quel poco di buono che posso fare per l’Italia lo vorrei continuare a fare.

Perché penso che il fatto che esista l’Europa Unita a qualcosa deve pure sentire e io ho voglia di sentirmi europea allo stesso modo in cui mi sento italiana.

Lo so, non sarà facile mandar giù la solitudine di certi pomeriggi quando sarà giù buio alle tre e nessuno con cui farti una risata. Ma sarà anche bello sapere che alle sei, quando hai finito di lavorare puoi andare al museo, al cinema, al ristorante iraniano, a teatro, a una mostra. E non solo a berti uno spritz e a mangiarti una pizza.

E sarà ancora più bello avere una casa tua e una vita vera. Da adulti.

Ecco perché ho un biglietto per emigrare. Ma anche uno per tornare.

 

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