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In viaggio verso il deserto

22 August 2013

Quando si è deciso di andare nel deserto ho messo una sola condizione: volevo andare nel deserto. Volevo vedere il Sahara. Perciò abbiamo organizzato una parte del viaggio noleggiando un fuoristrada con autista che da Fès ci porti fino al deserto, verso est, sulle dune di Merzouga, quasi al confine con l’Algeria per poi ridiscendere verso sud valicando la catena dell’Atlante.

E così dopo la giornata a Fès incontriamo il nostro autista: Magid, un ragazzo dal sorriso simpatico e gli occhi brillanti che ci viene incontro col tradizionale costume berbero. Ci fa accomodare nel suo “dromedario giapponese” e via per 450 chilometri verso il deserto.

Magid è un berbero del deserto, nato e cresciuto a Zagora, una di quelle cittadine ai limiti delle dune, da dove passavano le carovane dirette a Timbuctù. Come tanti marocchini parla un po’ di tutto e ha fatto tanti lavori. Ora sono 13 anni che porta i turisti in giro per il Marocco. Ogni tanto, quando ci fermiamo in un paese compra un regalo alla sua mamma che poi le manderà attraverso qualche cugino tassista che incontra lungo il cammino.

Magid conosce tutti e saluta tutti, quando dei bambini si avvicinano all’auto per chiedere l’elemosina lui fa loro una ramanzina e gli intima di andare a scuola a studiare. Ci chiama “le gazzelle”, che come mi spiegheranno è un modo di origine africana per indicare le belle ragazze.

Ci spiega Magid: “Il dromedario serve all’uomo per attraversare il deserto, ma la gazzella serve all’uomo per attraversare la vita”.

Sul suo dromedario giapponese attraversiamo piccoli paesini arrampicati sulle montagne e davanti agli occhi cominciano a sfilare le prime scene del Marocco rurale: le donne velate con le spalle cariche di legna o di fasci di menta, gli uomini seduti fuori ai bar a passare la giornata. I bambini a gruppetti che si accudiscano fra di loro mentre giocano tra la polvere.

Ogni tanto dai finestrini dell’auto incrocio lo sguardo di una donna e mi immagino guardata dai suoi occhi: io seduta in un fuoristrada, i capelli biondi, il capo scoperto, libera di viaggiare con il mio passaporto che mi permette di andare ovunque, libera di dormire con chi voglio, che sia un amico, un fidanzato o un marito, libera di vivere da sola.

(Eppure persa in tutta questa libertà, a volte così infelice, come chissà cosa volessi dalla vita)

Fotor-arrivo

Nel tardo pomeriggio ecco che da lontano appaiono le dune, le dune del deserto. Magid alla vista del deserto si fa prendere dalla frenesia, spegne l’aria condizionata, apre i finestrini, alza la musica e ci ritroviamo tutti a ballare canzoni arabe appesi fuori al finestrino,  in mezzo al nulla del confine tra il deserto e il resto del mondo.

L’ingresso dell’hotel, due dromedari con le teste vicine a formare un arco, si fa subito guadagnare alla struttura il soprannome di “L’Edenlandia”. E’ uno di quegli hotel costruiti per grandi gruppi di turisti che hanno voglia di provare l’ebbrezza del deserto senza rinunciare alla piscina e all’aria condizionata. La cena è a buffet, con cibo da villaggio vacanze e turisti del nord-est che fanno le foto alla coppa di mousse al cioccolato. “Mario, ma tu viene a vedere cosa hanno preparato! Che meraviglia!” cinguetta una donna in infradito di plastica e leggins bianchi davanti a 4 dolcetti maldisposti su un vassoio.  Dai alle persone l’impressione che il cibo sia tanto e vario e loro saranno felici.

Fotor-deserto

Ma  tanto che ci importa delle comitive, siamo a 50 metri dalla dune e la sera si accende di milioni e milioni di stelle e la Via Lattea abbraccia il sonno che viene.

Noi ci ritiriamo nelle nostre stanze con l’aria condizionata e la doccia con l’acqua calda. Magid snobberà la sua camera e andrà a dormire sulle dune.

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