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Marrakech express

25 August 2013

Nel tardo pomeriggio a malincuore lasciamo Essaouira per tornare nel calore di Marrakech. Lungo il percorso di circa due ore l’autista fa partire una compilation di De Gregori che non ve lo dico proprio che allegria mia fa venire. Ma d’altra parte è normale, il viaggio sta per finire, tra poco si torna a casa, il tempo di sospensione sta per finire, presto sarà di nuovo settembre, che faccio della mia vita ecc ecc…

Ma intanto vediamo di goderci questi due giorni a Marrakech. A cena il Capo decide che mo’ basta, mo’ andiamo al ristorante italiano a mangiare uno bello spaghetto. Proposta altresì accolta da un ruttino di sollievo al sapore di coriandolo. D’altra parte sono due mesi che il Capo si era informato su quel ristorante a Marrakech dove d’inverno va a lavorare lo chef di uno dei suoi ristoranti preferiti di Capri. Come negargli questo rassicurante piacere?

Il ristorante si trova nella Ville Nouvelle, dall’altra parte della città, per andarci bisogna prendere un taxi. Ne fermiamo uno per strada e l’autista si rivela essere un vecchietto di novant’anni che non parla una parola di francese, figuriamoci altre lingue. Siamo un po’ dubbiosi, ma comunque ormai siamo dentro e gli porgiamo il biglietto col nome e l’indirizzo del ristorante. Lui fa finta di guardare, ma è evidente che non sa leggere.

In ogni caso parte. Non gli chiediamo dove sia il tassometro “Meter, meter” e lui ci caccia la manovella per aprire il finestrino.

E a questo punto che gli vuoi dire…

Col taxi si ferma davanti a un suo collega che legge il biglietto, gli spiega la via e contratta il prezzo con noi. Il vecchietto parte convinto, ma lungo il percorso si fermerà altre 5-6 volte a chiedere spiegazioni. Giriamo in tondo per un quartiere per circa mezz’ora, poi i morsi della fame del Capo si fanno sentire e si fa fermare davanti ad un hotel da dove telefonerà al ristorante. Il ristorante parla in francese con il portiere dell’hotel, il portiere dell’hotel parla in arabo con l’autista, l’autista fa finta di aver capito ma non sembra molto presente a se stesso. Riprendiamo il giro ed ecco qua il ristorante. Parte l’applauso all’autista come neanche nei peggiori atterraggi RyanAir.

Le stesse tarantelle si ripeteranno uguali tutte le successive volte che prenderemo il taxi, circa 5 volte. Dal che deduco, che perso tutto nella vita, mi posso sempre mettere a fare la tassista a Marrakech.

Il ristorante è un posto da marocchini di città ricchi ed expat: neanche una donna ha il capo velato, ci sono famiglie che parcheggiano il suv di fronte ed improbabili coppie composte da lui sessantenne con la pancia e lei bellissima, altissima, scosciatissima. Le porzioni sono immense, ci racconta il proprietario che per i marocchini deve buttare almeno 130 grammi di pasta altrimenti si lamentano che la porzione è scarsa.

Rifocillati da una buona dose di carboidrati complessi, il giorno dopo siamo pronti a visitare Marrakech. Memori dell’esperienza a Fès decidiamo di assoldare un guida ufficiale.

Fotor-marrakech1

Ishmad ci porta in giro per i vicoli della medina parlandoci della società marocchina, io lo tempesto di domande sulla situazione delle donne e sulla religione. Mi spiega che ancora oggi è estremamente raro che una donna viva da sola, e nella maggior parte dei casi si tratta di vedove. E ancora, la convivenza tra uomo e donna è illegale e ci sono molte donne, soprattutto delle famiglie benestanti e tradizionali, che spesso non escono di casa per settimane. Ci porta a visitare il fastoso palazzo di un visir, giriamo per l’harem e ci spiega che tutto nasce per proteggere ed accudire la donna.

Io e le mie amiche non possiamo fare a meno di chiederci cosa faremmo noi se fossimo nate in una società islamica: ci sembrerebbe tutto talmente naturale che non faremmo fatica ad accettarlo? O ci ribelleremmo? E se invece che nel moderato Marocco nascessimo nella repressiva Arabia Saudita?

Ricordo una frase letta qualche giorno fa su “Creatura di Sabbia” un romanzo dello scrittore marocchino Tahar Ben Jellou. Diceva più o meno così: “Donne, voi non siete sottomesse all’uomo perché così è scritto nel Corano o perché così ha deciso il profeta, ma perché voi avete sempre accettato questa situazione. Quindi ora abbassate il capo e continuate a subire in silenzio”.

A Marrakech il sole batte forte, nel pomeriggio bisogna ritirasi all’ombra del riad. Riusciamo la sera per andare a vedere che si dice nella piazza di Djemaa el Fna, la piazza attorno al quale ruota tutta Marrakech, animata da incantatori di serpente, ammaestratori di scimmie, cantastorie, ciarlatani, tatuatrici di henne, bancarelle che arrostiscono animali interi. Ognuno nella piazza è libero di inventarsi la sua professione, il suo modo di guadagnare qualcosa: cavadenti, venditori di pozioni magiche, spremitori di arance, chiaroveggenti. Vaghiamo tra la confusione e parte il gioco del “tu cosa venderesti qua in mezzo”?

Saliamo in un caffè con vista sulla piazza e conquistato il nostro posto vicino alla ringhiera ci incantiamo a guardare i flussi disordinati della Piazza. La gente si muove seguendo traiettorie impercettibili, nell’aria si comincia a levare il fumo della carne alla griglia, le lampade cominciano ad accendersi mentre il sole cala dietro il minareto. Sorseggiano la mia Schwepps e penso che qui ogni sera è così. Ogni sera che io tornerò dal lavoro col mio piccolo carico di gioia o malinconia, nella piazza ci saranno i cantastorie che continueranno a cantare le stesse favole, gli incantatori soffieranno fiato nei flauti e per chiunque si ritrovi qua, questo luogo sembrerà sempre il centro del mondo.

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