22 August 2013
Succede così, una mattina ti svegli e sei ai bordi del deserto. Esci dalla camera dell’hotel e davanti agli occhi hai lo sfondo del presepe, una di quei rotoli con sopra disegnati i cammelli e le dune e le palme che incollano dietro le casette fatte con le scatole di medicine e la grotta (e una spolverata di borotalco a simulare la neve che si sa, cade copiosa in Palestina).
Magid ci porta in giro per il deserto, alla guida del fuoristrada si guarda intorno e segue strade e traiettorie che vede solo lui. Ogni tanto in mezzo al nulla fa un virata improvvisa che va a ricongiungersi con un sentiero che si snoda tra i cespugli di steppa, poi ferma l’auto, e via, tutti sulla sabbia.
E’ ancora mattina presto, la sabbia è fresca, si può camminare senza scarpe e la paura degli scorpioni passa. Secondo Magid se l’uomo è tranquillo lo scorpione non aggredisce e non punge. E in ogni caso gli altri uomini sono ben più pericolosi degli scorpioni. Saliamo fino in cima alla duna, intorno un silenzio di sabbia come poteva esserci duemila anni fa, forse lo stesso di milioni di anni fa. Tutto uguale se non fosse per noi che stiamo seduti sulla duna e cacciamo i nostri aggeggi per immortalare un momento, come se una foto potesse catturare l’anima del deserto. Come se una volta pubblicata su Facebook poi servisse a ridarci un po’ di quella pace, quando la riguarderemo nelle mattine di novembre fredde e umide (è questa dunque la vita?).
Mi stendo sulla sabbia calda e dico: “Sai Magid, noi quando siamo tristi andiamo dallo psicologo o in giro per i negozi, forse sarebbe meglio venire qui”. Lui mi chiede chi sia uno psicologo, io cerco di spiegarglielo ma lui mi guarda con un’aria interrogativa poi mi dice: “La vita senza problemi è un problema, noi quando abbiamo un problema veniamo qua, uno, due, tre giorni, bello, tranquillo e dopo basta, finito”.
Ci spiega poi che tante persone vengono qui a fare “l’hamman di sabbia”, a farsi seppellire nella sabbia per una o due ore per curare i reumatismi. Io mi giro verso l’immenso, sprofondo i piedi nella sabbia calda e spero che serva anche ad asciugare tutte le lacrime di quest’estate troppo umida.
Il nostro giro nel deserto prosegue percorrendo il reg, l’infinita pianura mista di pietra e roccia. Sul nostro cammino incontriamo dei bambini che ci corrono incontro con piccoli volpi del deserto in mano, ragazzine che vendono scialli, soli in mezzo al nulla, le case distanti chissà quanto e chissà se hanno una casa. Ci fermiamo a prendere il the sotto una tenda di nomadi.
Io ora non so che questi fossero nomadi veri o nomadi figuranti che piantano la loro tenda ai margini delle rotte dei fuoristrada per intercettare qualche dirham di mancia, fatto sta che c’erano due donne giovani con i loro bambini, una donna anziana e un uomo sotto questa tenda a bere the e mangiare pane. Con l’aiuto dell’autista che traduce gli chiediamo cosa fanno, come passano la giornata e loro niente, ci dicono che stanno così, la mattina fanno le poche faccende necessarie poi gli uomini portano gli animali a pascolare tra i radi cespugli e loro rimangono così a passare la giornata bevendo the. Una bambina al polso ha un vistoso orologio bianco di plastica, probabile dono di qualche turista passato prima di noi. Per tutto il tempo farà il gesto di portarsi la mano alla bocca come a dire di voler mangiare e sussurrando “dirham”. Quando ce ne andiamo vediamo una delle donne giovani che sussurra qualcosa alla bambina e la bambina che corre verso di noi sempre chiedendo soldi.
Il nostro occidentale senso di colpa la vince ancora sul fermo proposito di non far elemosine e diamo pochi spiccioli in mano alla donna più anziana.
Ce ne andiamo con un sapore amaro in bocca. Mi chiedo chi sia io per poter credere di fare un’esperienza autentica sedendomi sotto una tenda berbera a prendere the, scendendo fresca fresca e ben vestita da un fuoristrada con l’aria condizionata.
Sto forse guardando la povertà come se fossimo allo zoo? Quale sarebbe l’atteggiamento più etico da avere in questi casi? Quando tornerò a casa e farò il mio bonifico a qualche associazione che si occupa della costruzione delle scuole nelle aree rurali, mi scaricherò la coscienza?
Non lo so, sono domande che rimarranno così senza risposta. Intanto spero che quella bambina con l’orologio di plastica bianco seguirà il consiglio di Magid e andrà a scuola.
Dopo ci fermiamo in uno delle cosiddette cooperative, grandi negozi dove vendono l’artigianato locale con prezzi a misura di turista. Tutti convinti di fare un buon affare, tutti vittime delle straordinarie abilità commerciali dei marocchini. La cosa che mi ha irritato di più di questi luoghi, a parte l’assenza di un prezzo di riferimento, è l’assoluta impossibilità di gironzolare con calma guardando gli oggetti e facendo le proprie valutazioni. Hai sempre un venditore alle costole pronto a srotolarti infiniti tappeti berberi davanti agli occhi.
Se andate in Marocco e viaggiate con un’autista vi dò un consiglio: lasciate perdere le cooperative, sono frequentate solo da turisti e hanno prezzi più alti che i normali negozi, dove per altro potete fare shopping con molta più calma.
La sera abbiamo prenotato un giro col dromedario al tramonto, perché, che fai, vai nel deserto e non ti vai a fare un giro sul cammello? Come andare nell’Artico e non farsi neanche un giro sulla slitta trainata dagli husky. Ecco, appena ho visto quanto era alto il dromedario ho avuto il sospetto che la gita sul cammello andasse a finire come La Famosa Gita sui Cani. Poi però a parte il terrore puro quando il dromedario si alza e si abbassa è andata molto meglio, fosse altro perché i dromedari vanno piano piano e non corrono mica come degli husky pazzi in mezzo alla neve. E poi nel deserto al tramonto c’è la luce, mica è come la notte artica.
Comunque andiamo su questi dromedari e il cammelliere è simpaticissimo, ride, scherza, ci fa le foto. Poi ad un certo punto apre lo zainetto e cerca di venderci fossili del deserto e posacenere a forma di mano di Fatima. Noi non compriamo niente e lui non dirà una parola per tutto il viaggio di ritorno. La prima impressione di un superficiale rapporto con i marocchini è questa: non c’è condivisione, aiuto, esperienza condivisa che non vada gratifica con un mancia. O almeno questa è la sensazione che si ha durante un primo approccio da turisti.
Ma il deserto per fortuna poco ha a che fare con gli uomini, la mattina dopo ci facciamo incantare dal sole che sorge sulle dune ed è già tempo di percorrere nuove strade.