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Valicando l’Atlante

24 August 2013

Attraversando villaggi di fango lasciamo il deserto alle nostre spalle, il dromedario giapponese punta deciso in direzione Sud, Sud-Ovest, la destinazione finale sarà Marrakech e poi ancora Essauoira, l’Oceano. Per arrivarci bisogna guidare due giorni valicando il Medio Atlante.

Le strade che facciamo sono nuove, alcune risalgono al protettorato francese, ma altre ancora sono nuovissime, le ha fatte da pochi anni il nuovo re. Immagino che prima arrivare dal deserto al mare, pur se sono “solo” 600 chilometri fosse un viaggio lungo e impegnativo. E immagino che ancora oggi molte di queste donne che vedo scorrere dal finestrino con la schiena gravata da fasci d’erba, non abbiano mai visto il mare.

Ma dove c’è l’acqua c’è sempre un po’ di felicità. E l’uomo la va a cercare, è un riflesso naturale e biologico di chissà quante miglia di anni.

Fotor-tondra

Durante il percorso ci fermiamo alle Gole del Tondra, una specie di canyon con al centro un ruscello chiaro e fresco e piccole spiagge di sassolini. Le famiglie vengono qua a prendere il fresco e tutto sembra come una normale domenica al mare. Se non fosse che le donne si immergono fino alle caviglie tenendo appena sollevata la gonna lunga e col capo ben coperto. Se non fosse che al posto dell’asciugamano sui sassi hanno steso un tappeto. Se non fosse che al posto dei thermos del caffè ci sono termos di the. Ma una coppia passeggia piano mano nella mano, un uomo steso sul lettino dorme col giornale aperto sulla pancia, i bambini hanno la stessa risata di tutti i bambini del mondo.

Come sono straordinariamente uguali le cose che rendono felici gli uomini: un po’ di acqua fresca in una giornata calda, un’amica con cui star sedute sulla riva a parlare.

Questa volta passeremo la notte in un riad ai bordi della strada, nel mezzo del nulla apparente: ci accoglie una scritta “Serenitè”. L’unica persona che lavora nel riad è un signore gentilissimo e timidissimo che parla solo francese e scuote il capo alla nostra richiesta di una birra, “no alcool” mormora. Il riad ha la piscina, una vasca jacuzzi e un hamman. Noi ci mettiamo in costume da bagno e ci godiamo tutto. Lui ci passa vicino abbassando gli occhi.  Forse nel suo cuore sta chiedendo perdono ad Allah anche per noi. O forse sta chiedendo perdono per quello che è costretto a vedere nel suo lavoro.

Fotor-timadine

La mattina dopo ci incanterà mettendo in azione un pianoforte fantasma, di quelli che suonano un disco inciso in un cilindro, muovendo i tasti come se a suonarlo fosse un fantasma. Un antico passatempo per annoiati colonialisti di sere di un estate sempre troppo lunga.

(come poter vivere in un paese dove l’estate è sempre troppo lunga? Sarei persa tutto il giorno in una mollezza senza rimedio, senza obiettivo. Non posso fare a meno di chiedermi se il loro fatalismo, se il loro affidarsi totalmente alla volontà del Signore, Inshallah, non possa avere radici anche climatiche. Fa caldo, non abbiamo abbastanza forza per decidere, muoverci, agire, ci pensa Iddio… Nei luoghi dove a star fermo muori congelato non puoi aspettare che ci pensi Iddio).

 

Il giorno dopo ci sono ancora chilometri e curve da macinare, fino a che un giorno punto il dromedario giapponese vira ed imbocchiamo una pista fuoristrada. Il sentiero scorre in mezzo alle montagne sulle cui fiancate si aprono spiragli di rocce arcobaleno, il quarzo scintilla sotto il sole.

Da lontano si vedono tende e baracche di famiglie nomadi. Ad un certo punto, da lontano, vediamo un bambino che corre inseguendo il fuoristrada. Corre velocissimo da una distanza che saranno un paio di chilometri. Sai benissimo che fermarsi per dargli 10 dirham non cambierò la sua vita e sarò solo un gesto diseducativo, ma ti piange il cuore comunque a vederlo correre col fiatone, i piedi nudi sulle rocce, mentre l’auto corre più veloce di lui. Ad un certo punto, si ferma, capisce che non ci fermeremo e scompare nello specchietto retrovisore.

Fotor-atlante

Più avanti chiediamo a Magid di fermarsi un po’, scendiamo dall’auto e camminiamo nel silenzio perfetto. E’ un deserto di rocce. E’ il nucleo denso del mondo. E’ come essere su Marte. Il sole batte forte, l’aria ad alta quota è rarefatta, il cielo limpidissimo. Le rocce emanano calore ed energia. Mi chino a raccogliere un quarzo. Il feticcio.

La strada continua attraverso case rosse costruite col terreno (il terreno è rosso quando c’è l’ossido di ferro, mi ricordo) e donne che portano che tirano muli carichi di erbe. E’ una costante questa che noto attraversando tutti i villaggi, le donne faticano, e faticano duro, gli uomini sono seduti fuori ai bar. I bambini si crescono da soli razzolando per le strade.

Dopo pranzo chiediamo a Magid di fermarci e farci fare una passeggiata da sole per un villaggio, abbiamo voglia di fare un giro per i negozi dove va la gente del luogo e provare a vedere com’è veramente gironzolare per un villaggio marocchino.

Certo, non è proprio la stessa cosa che farsi la passeggiata tra la Piazzetta e via Camerelle: i marciapiedi non esistono, tra la strada e le case c’è un terrapieno fatto di pietre, scarti di lavori di costruzione, spazzatura. A volte per rendere più agevole l’accesso ai negozi hanno messo una passerella. C’è il macellaio, con pezzi di carne appesi e ossa buttate per terra, c’è l’officina che aggiusta radio e televisioni e quella che aggiusta le biciclette, c’è il fruttivendolo, con i meloni in esposizione per terra protetti solo da un lenzuolo. Entriamo in una sorta di profumeria, una specie di “Acqua e sapone” marocchino: ci resteremo un paio di ore trattando sui prezzi dell’olio di argan e del sapone nero. Nel solito teatrino del commerciante che prende in mano la calcolatrice e scrive un prezzo, tu che prendi in mano la calcolatrice e scrivi la metà. Io dopo 10 minuti sono già stanca e me ne sarei andrei a fare un giretto. L’amica A.F. potrebbe restarci tutto il pomeriggio pur di fare l’affare della vita. Grazie alla sua pazienza ne usciremo cariche di esfoliante, kajal e acqua di rose che faranno felici schiere di amiche.

Siamo realizzate dello shopping, possiamo andare. Il riad che ci aspetta questa sera si trova all’interno di un palmeto, l’oasi di Skoura. Una vecchia kasbah tirata su impastando terra e paglia trasformato in un hotel di lusso da una signora francese.

Qua tutti i ragazzi dello staff parlano un inglese impeccabile e ti portano il vino nel secchiello di ghiaccio, roba mai vista in Marocco. Intorno alla piscina morbidi lettini invitano al riposo mentre il vento mormora tra le palme.

Fotor-skoura

All’ora dell’apertivo mi siedo sul terrazzo in accappatoio bianco. Gli ultimi raggi del sole colorano le kasbah di rosso e oro, il cielo si accende Venere, la prima stella della sera che non è una stella. Da un punto imprecisato tra le palme si leva la preghiera del muezzin e un cane salta sul muretto ad ululare al cielo (anche lui). “Che bello” – gli dico, “E’ davvero un momento perfetto” – mi dice.

Già un momento perfetto che come lo dici è già passato, un’altra perla luccicante delle tante perle luccicanti che colleziono, incapace di infilarle in una collana.

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