Qui, sotto i cieli di periferia

20 May 2014

“Quello che mi piace del viaggiare non è tanto vedere i monumenti, ma sfiorare le infinite vite possibili”.

Ci penso mentre il suburban sky di Liverpool scorre dietro i finestrini dell’autobus. La guida del Beatles Tour ci indica le case dove Ringo Starr è nato, ma io sono più affascinata dalla signora sull’uscio di casa che sorveglia un bambino razzolante sul marciapiede. Chissà cosa fa, chissà che storia ha. Chissà cosa sarei io se fossi nata qui e pensassi in un’altra lingua.

Mi viene in mente di certe volte che sto fuori al portone di casa aspettando qualcuno che passi a prendermi e le signore degli autobus turistici mi fanno ciao ciao con la mano. Io ragazza italiana sull’uscio di tipica casa italiana di una strada dove si vede il mare.

Chissà cosa sarei io se fossi nata qua, chissà cosa sarei se mi trasferissi qui. La fila di case di mattoncini corre davanti al finestrino, ecco un parco, ecco una ragazza che corre con la sua bottiglietta d’acqua. La seguo con lo sguardo mentre si allontana e penso a quella parola tedesca che non si può tradurre in italiano: “Fernweh”. La nostalgia per posti dove non si è mai stati. Chissà se in quale lingua del mondo c’è una parola per indicare la nostalgia per vite che non si sono mai vissute. Il cielo di una vita che nelle sere d’estate rimane chiaro fino a tardi. Il cielo di una vita dove ci sono parchi in cui correre. Il cielo di una vita dove il sole è sempre una benedizione da festeggiare con una birra all’aria aperta.

Ma, d’altra parte, lo so bene “A una vita bisogna pur ancorarsi per poter contemplare sereni tutte le altre”. Al ritorno giro la chiave sull’uscio di casa con un sorriso e un moto di gratitudine.  Per avere un luogo in cui tornare. Per avere chi aspetta il mio ritorno. Per avere un ritorno da aspettare. Mentre preparo la cena con le luci accese in cucina. Qua alle 8 comincia a far buio.

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