Saper aspettare

23 May 2016

E’ uno strano tempo il nome mese. E’ un tempo finito che sembra infinito e che pure finirà da un momento all’altro e tu questo momento non lo sai quando sarà. E’ un tempo dilatato in cui per la prima volta ti ritrovi davanti a una quantità di tempo da rigirarti tra le mani non sapendo bene cosa farne. Tipo un lunedì pomeriggio in cui ti senti quasi in colpa ad stenderti sul letto per leggere l’ultimo romanzo di Franzen, 600 pagine che chissà se finirai prima che. Tipo un venerdì mattina che ti senti in colpa a non accendere il computer e controllare la posta. “Goditela”. E’ quello che ti dicono tutti. Tra una lezione al corso preparto e un’analisi delle urine puoi andare a farti una manicure, passeggiare tra i negozi, ascoltare musica new age, fare ginnastica del perineo, rilassarti, dormire…. “Poi dopo non dormirai più”. Come se il sonno si potesse congelare e tirar fuori alle dosi giuste quando serve. Come una parmigiana di melanzane dal freezer. Come l’app che ti consiglia di cucinare pasti da congelare e scongelare quando ci sarà il bambino. “Goditela” ma intanto una sottile noia strisciante si infiltra le finestre aperte sul vento di primavera, sull’odore dei gelsomini, sul traffico degli autobus turistici, sulle voci di chi si diverte in strada fino a tarda ora. Dicono che si chiami il tempo dell’attesa. Ma millenni sono passati da quando Penelope tesseva e attendeva. E noi forse non siamo più abituate ad aspettare e misuriamo il nostro benessere in grado di attività. “Come va la gravidanza?” – “Benissimo, ce la faccio ancora a fare tutto, lavorare, lavare a terra, cucinare, andar a far la spesa, caricare e scaricare lavatrici e lavastoviglie”. Quando invece forse la risposta dopo “Benissimo” dovrebbe essere: “Mi sento bene, sono tranquilla, mi preparo a quello che sarà e intanto mi godo l’attesa”. Ma chissà se una risposta giusta c’è.

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