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3 domande per cui non voglio risposte

8 March 2016

Sono 3 le domande che odio sulla gravidanza:

1) Quanti chili hai preso
2) Ma vai ancora al lavoro?
3) E dopo come farai?

1) I chili in più, i chili in meno.

“Ma Camilla è incinta oppure è ingrassata?” In genere arrivata al 3 mese dici a tutti che sei incinta perché cominciano a dirti che ti trovano GRASSA. Perché qualsiasi persone che incontri per strada si sente in diritto di dover giudicare il tuo aspetto fisico pesandoti con gli occhi. Allo stesso modo ti faranno i complimenti se nel corso dei mesi “stai mantenendo la linea”. No, io non voglio i complimenti se riesco ad evitare di allargarmi troppo e se riesco a tenere a freno la voglia di zuccheri,io voglio i complimenti perché contribuiscono al  progresso della specie, perché farò del mio meglio per educare una persona civile e responsabile, perché mi prendo la responsabilità di un altro essere umano. E ho promesso di eliminare dalla mia vita qualsiasi persona che quando la incontro per prima cosa esprima giudizi sul mio peso.

2) Ancora al lavoro?

Sì, anche se sono alla fine del sesto mese sono ancora in grado di prendere un aliscafo tutti giorni e focalizzare la mia attenzione su qualcosa che non sia la scelta del passeggino. D’altra parte non vado a zappare la terra. Ok, posso chiudermi in bagno a vomitare, posso rischiare di addormentarmi sulla sedia ma sono ancora perfettamente in grado di analizzare un report. Non è che gli ormoni mi sono andati in testa. E no, non rischio di partorire sull’aliscafo. La responsabilità che ho nei confronti di mia figlia per cui non mi fumo la sigaretta dopo cena deve essere anche la responsabilità che ho nei confronti del lavoro e dell’azienda che mi dà lo stipendio ogni mese.

3) E dopo? Come farai col lavoro? Tu sei fuori casa dalla mattina alla sera!

Il mio compagno la maggior parte delle volte passa la settimana lavorativa fuori, parte il lunedì mattina e torna il venerdì sera. A volte resta via anche il weekend, in trasferta da qualche parte del mondo. Nessuno gli ha chiesto con aria preoccupata “ma ora come farai?” È ovvio che il problema è MIO. Sono io che dovrò contrattare per uscire un’ora prima, sono io che mi godrò i 5 mesi pagati di maternità, sono io che avrò diritto all’allattamento. A lui spettano ben due giorni di paternità, vale a dire manco il tempo di accompagnarmi a casa dall’ospedale. E dopo, se non vorrà lasciarmi sola a casa a prendermi la depressione post partum dovrà chiedere il “congedo parentale” pagato al 30% o prendersi le ferie. O far finta che nostra figlia sia orfana di madre o abbandonata dalla stessa per prendersi un po’ della mia maternità e permettermi di tornare prima al lavoro, se volessi.

C’è un mene che vedo girare da un po’ di tempo su Facebook “Hai tutta la vita per lavorare, i tuoi figli sono piccoli una sola volta”. Ecco, ogni volta che lo vedo mi sale un moto di irritazione. Non condanno chi sceglie di rimanere a casa con i propri bambini. Educare e curare i propri figli dedicandosi completamente a loro è una scelta nobilissima che forse anche io farei se me lo potessi permettere e se fossi sicura di poter riavere il mio posto di lavoro, un giorno. Ma il punto non è questo. Il punto è che NESSUNA si deve sentire in colpa se va a lavorare mentre i figli sono piccoli. E’ vero, loro sono piccoli una sola volta, ma anche la nostra vita è una sola e se abbiamo un lavoro conquistato con le nostre sole forze, magari un lavoro che ci piace, per il quale abbiamo studiato (e abbiamo la “fortuna” di non essere licenziate quando annunciamo la gravidanza), perché lasciarlo immolandosi all’altare dell’accudimento? Perché “fare la mamma è il lavoro più bello del mondo”? Ok,  possiamo farlo, ripeto, è una scelta liberissima e nobile, ma nessuno osi farmi sentire in colpa se la mia bambina muoverà i primi passi mentre io sono in ufficio. Perché poi lei di passi ne muoverà tanti altri e io la terrò per mano e poi la lascerò per farla andare lontano. E sono sicura che andrà ancora più lontano dopo aver visto che sua mamma cammina da sola.

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