Mare 2.0

7 August 2009

Agosto. I forzati dell’ufficio, ormai in calzoncini corti e ciabattine, stanno lì, in acquari di aria condizionata, assetati di luce e aria come le piante con le foglie all’ingiù annaffiate con i fondi delle bottiglie di acqua minerale che nessuno vuole più bere perché troppo calde e ormai sgasate.  Fanno ordine nella posta, nella cartella dei preferiti, magari và, scriviamo pure un post sul blog aziendale e aggiorniamo l’archivio delle foto.  Le simpatiche attività perennemente trascurate nel corso dell’anno. Dietro le tende simil studio di analisi i forzati dell’ufficio guardano le foto di chi è già in vacanza.

I forzati del mare 2.0. Da sotto l’ombrellone scattano foto e le caricano  tramite Facebook Mobile. Guarda io sto a mare.  Ci aggiornano sui loro spostamenti e sulla limpidezza delle acqua nelle quali si bagneranno. Tracciano  i loro spostamenti meglio di un GPS. Ho fatto il check-in, mi avvio verso il gate, ora sono in amaca, domani faccio un giro in barca. Sono mare ma ci sono davvero solo se contemporaneamente tutti possono vedere che sono a mare.  Niente di nuovo sotto l’azzurro cielo d’agosto.  L’abbiamo fatto  prima con le diapositive delle vacanze, poi con i blog, ora con i social network.   E la simultaneità dello scatto e condivo la variabile differenziale.  Scatto e condivo foto bruttarelle, sgranate, a bassa definizione, il cui unico concept è “io sono al mare”.
Ma penso.  Meglio tenerci il mare 2.0 che condividire la tragedia in real time. Dagli status degli ultimi giorni: “sono in ospedale e a mia moglie sta subendo il raschiamento dei gemelli”- “a mio figlio hanno diagnosticato  la distrofia muscolare”-“mia mamma ha un tumore al seno”. Affiancato alla loro immaginetta sorridente.  Riflettendoci: il problema non è nel condividere la malattia e la tragedia. Secoli di letteratura sono basati sul dolore. E il punto è questo: la brutalizzazione del dolore in 160 caratteri buttati con noncuranza nello stream, tra il test “qual è la canzone dell’estate che ti rappresenta” e l’applicazione biscottino della fortuna.  Il punto è: puoi scrivere pagine strazianti e bellissime sul dramma, ma noi puoi buttare là, digitando con la tragedia sul blackberry di una sala d’aspetto.  Lascia che il dolore ti scavi dentro e si faccia verbo. Vai a casa, piangi e scrivi. E se poi, vuoi, condividi.

Non posso fare a meno di pensare che prima di Facebook avevo un’idea migliore di molte persone.  Prima regola della seduzione: mai scoprirsi troppo.

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