Patatrekking

30 April 2007

E poi capita che in una domenica di inizio estate fai pace con tutte le domeniche di inizio estate di sempre seduta su un altalena che dondola sul vesuvio, persi in un tramonto perfetto e infinito.Succede che a ventisei anni pensi che non ci sei mai salita su quella montagna azzurrina che tieni sempre davanti e che praticamente ha fatto da sfondo a tutti i tuoi baci da quindici anni ad adesso. Ti rendi poi conto che con il lungo week-end davanti il pericolo pucundria et contemporaneo post sullo spleen domenicale erano dietro l’angolo. E davvero ste cose non si possono più reggere e leggere.E così, davanti allo spettro di te sul balcone che ti ingolli di latte di mandorle e gin leggendo il solito romanzo postmoderno americano dedico di dire sì a quanto avevo detto no all’ascolto delle parole “partenza alle sette del mattino”.Con non tantissima convinzione tolgo le scarpette di raso rosso coi tacchi a pois e tiro giù dalla cima dell’armadio le odiatissime scarpe da trekking, compagne inseparabili dell’inverno finlandese e causa dei peggiori complessi verso le stangone indigene che giravano suò ghiaccio coi tacchi a stiletto.Metti le scarpette da trekking ed è come quando Dorothy del mago di Oz scopre i poteri magici delle scarpette d’argento della strega cattiva del nord. Le metti, sbatti i tacchi tre volte, e ti trovi in un altro mondo.Dove non sai neanche tu come ma da qualche parte nascosta dentro ti esce la forza di camminare per cinque ore, otto chilometri di montagna. Un po’ ti viene il fiatone, un po’ ti fai tirare, un po’ proclami che non ce la fai più, ma ce la fai. E in cima ti mangi anche la frittatina di pasta fredda che in normali situazioni ti avrebbe fatto schifo.E poi c’è la discesa. Tecnicamente si chiama “sciuliamazzo” Ovvero menati da sopra alla montagna e rotolati giù tra detriti, lapilli e foglie secche.Io sono caduta una sola volta. Una volta e poi mi sono fatta tutta la discesa sedere a terra impanandomi come una cotoletta nel terreno. Non escludo che tra qualche mese mi possa anche spuntare un castagno del Vesuvio dal sedere.E poi.E poi arrivi a un antro patafisico dove c’è la strega buona del Vesuvio che ha un dove vengono sfornati in continuazione plum-cake, dove le parole scorrono leggere e profonde tra vino e caffè e gatti. Dove la serenità si spalma arancione sulle fette biscottate e tutto si risolve passandosi la frittata di zucchine e il cateau di patate con la pasta dentro sotto la luce dei candelabri appesi alle pareti.

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