Viaggio in Giappone-Harajuku-Quinto giorno

24 August 2009

L’ultimo giorno a Tokyo, è domenica. E la domenica c’è il raduno dei cosplay ad Harajuku. Indosso il costume da scolaretta alla marinara comprato ieri, mi faccio i codini tipo Sailor Moon e tutta convinta me ne vado a prendere la metropolitana, attirando gli sguardi curiosi dei tranquilli abitanti di Otska. Appena usciti dalla stazione vediamo subito le prime “bambulelle”, ragazze vestite come le bambole di porcellana che vendono al buvero a Sant’Antonio alla vigilia della Befana, ci sono le gotich lolita e ragazze con zatteroni immensi. Andiamo sul ponte dove in genere si radunano ma ce ne sono ben poche. Bah, saranno in vacanza. O forse mo’ non si porta più. Facciamo una passeggiata fino al tempio di Meiji-jingu,  il tempio scintoista dedicato all’ononimo imperatore che ha dato il nome all’ononimo periodo che si connotata per l’apertura nei confronti dell’occidente ( dling dling, fine della parentesi storica ad uso e consumo dei nostri lettori più aqqulturati).  E’ il tempio dove si appendono le tavolette volitive per chiedere benedizioni varie. C’è quella di un bambino che chiede di avere tutti i Pokemon del mondo. Pausa pranzo a base di ramen ed è giunto il momento di salutare Valentina che torna in Italia. Piccola pausa di ringraziamento per la nostra preziosissima guida di introduzione al Giappone, senza di lei, i primi giorni, altro che Lost in Translation. Stanchi da tanta cultura decidiamo di dedicarci a un meritato giro di shopping per Omete-santo, un dei quartieri più trendy di Tokyo. Finiamo da Kiddy Land, 5 piani di puro “kawaiiii” e azzeccamenti giapponesi vari. Un piano solo dedicato a Hello Hitty.  Voglio il set di cucchiaini in simil oro da inserire nella lista nozze. Ne usciamo dopo due ore e ventimila yen in meno usciamo ondeggiando da là dentro. Ritorniamo in albergo per fare le valigie e decidiamo di passare la serata a Takada-no-babà ( fermata della metropolitana dove fin dalla prima volta che abbiamo sentito il nome abbiamo deciso che dovevamo andare). E’ la prima volta che ci lanciamo a ordinare un pasto giapponese da soli. Scegliamo un locale a caso ( il problema di questi locali è che spesso non si vedono da fuori, stanno o nei sottoscala o ai piani alti, ed è difficile capire da fuori cosa diavolo ti aspetti dentro). In ogni caso, entriamo in un izakaia che ci ispira e ordiamo gli immancabili fagiolini di soia, delle frittelle di non so bene cosa, tofu fritto e pure un sano piatto di patatine fritte. E tutto fila liscissimo. Domani si parte per Kyoto. Sayonara Kyoto. 

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