Fare finta di essere sani

18 March 2010

Come quando un giorno misi un po’ di roba in uno zainetto rosa e me ne andai solo io in Svezia per 5 giorni.
In un traghetto pieno di operai russi e ragazze estoni troppo allegre in una notte di Marlboro rosse Centos e l’alba sugli atolli polari.
Alla deriva, alla deriva. Verso Nord, Nor-Ovest
Come quella notte che stavamo all’aeroporto di Belfast su divanetti polverosi e c’era quel videogioco che ripeteva jingle rumorosi e continui
Come quando stavamo a quella presentazione letteraria dove tutti erano più magri e ricchi di noi e io così, a bell e buon, mi alzo, prendo il microfono e faccio la domanda maligna che tutti volevano fare e cade il gelo in sala.

Come quando a bello e buono piglia e mi licenzio.
Il punto è. Hai un bel lavoro in un bel posto con bei colleghi. Guadagni pochissimo, praticamente all’ora guadagni la metà della signora che viene a fare le pulizie.  E la cosa tragica è che nel soprannaturale panorama lavorativo napoletano puoi anche affermare di guadagnare non c’è male.  Hai pure un contratto, il che, sempre inserito nel quadro paranormale del mercato meridionale del lavoro, significa tipo aver ricevuto una grazia dalla Madonna dell’Arco.
Licenziarsi così? In piena crisi economica?  A quasi trent’anni? Femmina? Senza aver trovato un lavoro dopo? Senza una cosa di soldi da parte?
E’ il segno di Demian, e hai voglia di andare al lavoro ogni mattina alle 9, pranzare ogni giorno alle 13.30, andare in palestra alle 19.15. Quello non si cancella.
Ogni notte sto sognando che arrivo all’aeroporto e non ho la valigia, devo partire solo col bagaglio a mano.

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