Appunti americani – La route 66

7 April 2012

Dove eravamo rimasti? Eravamo rimasti che eravamo a Las Vegas e la notte era scivolata via ad un centesimo al minuto tra le banconote di un dollaro infilate nelle slot machine. Si era arrivati a quel punto della serata in cui cominci a vedere annebbiato, a quel punto della serata in cui già lo sai,  non ti struccherai prima di andare a dormire e la mattina dopo avrai la faccia di panda e strisciate di mascara sul cuscino.

La mattina dopo quando scendiamo è ancora notte.  Dentro gli hotel di Las Vegas è sempre notte.  Mentre noi mangiamo muffin al cioccolato signore in pigiama fumano davanti alle macchinette. Basta, dobbiamo andare via.

Via,via da Las Vegas. Non prima di aver fatto tappa al “Più Grande Negozio di Souvenir del Mondo” dove ci sono i rangers a fare la guardia e dove puoi trovare ogni oggetto di uso comune del mondo con su scritto Las Vegas. Vorrei molto comprarmi una tazza rosa con su scritta “Las Vegas Princepess”, poi desisto.

E’ tempo di rimettersi on the road.

Vi dico una cosa: io non ho mai letto On The Road. A 16 anni ho letto Coelho, Gibran, Hesse, tutta sta roba fricchettona che si legge a 16 anni, ma mai Kerouac. E ora temo che sia troppo tardi per mettersi a leggere Kerouac.

Le strade di Las Vegas alle nove di una domenica mattina sono vuote e sonnacchiose, mentre usciamo dal centro passiamo davanti a quelli che sembrano essere “i peggiori casinò di Las Vegas”. Casino, strip club, negozio di tatuaggi. Quel tipo di posti che mi piacerebbe frequentare con certi miei amichetti del sabato sera e del negrosky a stomaco vuoto. Ma ricordiamocelo, sono i viaggio con i miei colleghi di lavoro, quindi niente casinò sguercio alla periferia di Las Vegas. Solo Martini prima di cena.

Deserto, deserto, deserto. Lago. Andiamo a vederlo. Il lago è indubbiamente un lago solo che non si chiama lago, ma Porto di Las Vegas. E’ un posto molto domenicale. Di sicuro anche il martedì là si respira quella pacifica atmosfera da domenica mattina fatta di sole, passeggiata lenta, caffè. Dentro a questo lago ci sono un sacco di carpe che evidentemente avranno una funzione decorativa. Un bambino appeso alla scaletta rischia costantemente di cadere in acqua per accarezzare le carpe. La mamma lo guardo, non gli urla “Giantommasssoooooooo, sali subitoooo qui!” come farebbe una normale mamma italica davanti al figlio che rischia costantemente di cadere in acqua. Quando percepisce la caduta imminente, lo tiene per il passante dei pantaloni.

Ci rimettiamo in strada che di strada c’è ne è e ce ne sarà. Dobbiamo andare a prendere la Road 66, la Mother Road come la chiamava Henry Miller che era nato da queste parti qua.

Vi dico un’altra cosa. Io ho mai letto niente di Henry Miller, ma per lui sono ancora molto in tempo. O no?

Arriviamo a questo specie di paese che non mi ricordo come si chiama. Quello che mi ricordo bene è che ad un certo punto viene a nevicare. Nevicare serio, a grossi fiocchi tondi. Noi non siamo abituati a guidare, figuriamoci a guidare sulla neve. “Guarda, qua c’è un dinner che sembra carino, accostiamo e fermiamoci, tanto è ora di pranzo”.


Entriamo e ci ritroviamo sul set di Happy Days tra divanetti rosa, sgabelli verde menta, juboxe vintage e cameriere col pantalone a zumpafuosso (ndr corto alla caviglia). E’ quando ti ritrovi in un ambiente che hai sempre visto nei film e nei telefilm che scatta la sindrome dello shotting fotografico. E’ un attimo e tre macchine fotografiche e cinque iPhone danno il via alla proliferazione dell’immagine complici le Coca Cole in bicchieri di vetro grandi come vasi di fiori e hamburger serviti nei cestelli con tovaglioli a quadretti bianchi e rossi. Sunday Monday Happy Days, mentre fuori continua a nevicare. Tuesday Wednesday, Happy Days, mentre le immagini si prolificano sulle autostrade dei social network.  Autostrade dal nulla al nulla mentre i camion passano correndo (sicuramente vanno molto lontano…)

Continua a nevicare. Di fronte al pub c’è un Centro Informazioni Turistiche, andiamo a chiedere se sanno qualcosa del tempo, se possiamo proseguire o è meglio trovarci un motel prima di rischiare di rimanere bloccati in mezzo a qualche valico sulla neve e poi mangiarci tra noi come quella gente che era rimasta bloccata nella Death Valley e poi erano diventati cannibali.

L’Ufficio Visitators di Kingman (sì, il paese si chiama Kingman, sono andata a controllare su Google nel frattempo, sono o non sono la vostra travel blogger preferita?) è fatto così: c’è il bancone dove chiedere informazioni, il negozio di souvenir e un trenino che gira tutto intorno su un soppalco. Tutto intorno tutta la giornata. Dentro ci sono due pensionati che passeranno il 90% delle giornate d’inverno a guardare il trenino che gira. Il signore ci riempi di cartine, guarda le previsioni meteo, ci benedice e amen, andate in pace and drive careful.

Ci rimettiamo on the road e man mano il tempo migliora, passiamo attraverso paesaggi desolati e attraversiamo il fiume Colorado che questo punto al confine dove passa il fiume Colorado sicuro sta in qualche libro di Henry Miller che però non vi so dire perché non sono una ragazza che si informa prima di scrivere.

Facciamo molte foto di camion al tramonto, tantissime foto di camion al tramonto che corrono sull’autostrada lasciandosi dietro il sogno americano.

(“Anche tu fotografavi sempre i camion” – mi ricordo – mentre Venere si riaccende rialleandosi crudelmente alla luna)

La nostra meta del giorno è Barstow, un paese definito dalla guida “squallido e anonimo”. So già che mi piacerà. Io subisco sempre il fascino dei posti definiti squallidi e anonimi. Il paese in effetti è una via di motel squallidi e anonimi a 40 dollari a notte.  Ne scegliamo uno a caso, parcheggiamo davanti alla porta e depositiamo i nostri trolley sulla moquette a fiori nella solita allegra natura morta polverosa.

Andiamo a cena da Denny’s che è una catena dove però fanno credere di essere molto attenti alla tua alimentazione e al tuo benessere. Ogni piatto ha le calorie scritte vicino e c’è una pagina del menù con tutti i piatti sotto le 500 calorie.  Sul tavolo c’è anche una tabella nutrizionale con su scritte tutte le indicazioni nutrizionali di tutto ciò che si serve in questo posto dove ci tengono al tuo benessere. Ed è possibile ordinare anche la mezza porzione.

Noi ci buttiamo tutti sulle insalate, mezza porzione che equivale a una nostra porzione abbondante. Al tavolo affianco al nostro 3 chiattone con le sembianza di native americane spazzolano pollo fritto e patatine guardano le nostre insalate con aria interrogative. “Ma sono forse malati questi?” – sembrano chiedersi. Se ne andranno via portano ognuna in mano la sua doggy bag di patatine.

Andiamo via anche noi, il cielo Giove e Venere continuano a brillare troppo luminosi nell’aria troppo fredda di un altro continente troppo lontano. Miglia e migliaia di chilometri difficili da superare.

E ora per la strada non passa neanche un caminon.

Negli episodi precedenti:
Cap 1: San Francisco
Cap 2: Le Sequoie Giganti
Cap 3: La Death Valley
Cap 4: Las Vegas

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